Con Felicia Buonomo prosegue la rassegna delle poete e dei poeti emergenti e contemporanei che raccontano la loro vita, la loro Poesia. Felicia Buonomo è autrice di vari libri, in particolare di Sangue Corrotto (Interno Poesia, 2021), considerato dal Laboratorio di ScriverePoesia una delle più belle letture del 2021.
LE NOSTRE PAROLE
Le nostre parole sono sempre parole nuove, ma ognuna di esse viene al mondo grazie a quelle che ci hanno preceduti. Nasce da questa considerazione – fatta e analizzata a più riprese anche con tanti amici poeti e poetesse – la scrittura che mi abita e che finisce sulla carta da qualche anno a questa parte. Non ho mai creduto nella capacità – in senso lato – rivoluzionaria di un autore, rivoluzionario casomai può essere il suo percorso, la sua ricerca sulla parola, e che dalla parola sorge. Dando per certo questo assunto, posso dire che io sono tutti i poeti che ho letto.
I MAESTRI
Prima di essere autrice di poesia, sono una lettrice di poesia. Jorge Luis Borges ci ricorda quanto sia importante questo percorso di conoscenza e (potremmo dire, pur se impropriamente) rimestamento delle parole del passato, quando scriveva:
«Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto, io sono orgoglioso di quello che ho letto».
Credo con la stessa potenza e convinzione, però, che ogni autore abbia una sua personale ossessione. La mia è data dai rapporti umani disfunzionali, quelli che sfociano nella violenza, quelli che portano a versificare l’abisso, anche quello tabù, quello insondabile, come la morte su base volontaria, o peggio la morte inflitta, o la morte della sostanza a dispetto della forma, che pur continua a sopravvivere. E la contropartita (positiva) di questo abisso emotivo e umano è l’Altro, lo sguardo che sempre – io credo – il poeta deve avere sull’Altro.
Si muove su questi due terreni la poesia che io tento di fare, nel mezzo l’essenza delle cose. Io credo profondamente nell’essenza delle cose, nello sguardo sulla realtà, che (non di per sé, ma) diventa vergine nel momento in cui lo si trasferisce in un testo (parafrasando Edoardo Sanguineti: «Uno sguardo vergine sulla realtà. Ecco ciò che io chiamo poesia», ci diceva). Questo approccio lo devo al mio più grande amore poetico, che è Marina Cvetaeva. Lei diceva:
«Come, io poeta, ovvero persona dell’essenza delle cose, potrei farmi sedurre dalla forma? Io sono sedotta dall’essenza, la forma arriverà da sola. E arriva […] No, sono sedotta dall’essenza, poi incarno. Ecco il poeta. E incarno […]».
Di lei possiedo (o almeno tento di possedere) la visceralità, l’urlo, pur nel tentativo – spesso fallito – di contenere. Prendiamo testi come questo:
«Io sono una pagina per la tua penna.
Tutto ricevo. Sono una pagina bianca.
Io sono la custode del tuo bene:
lo crescerò e lo ridarò centuplicato.
Io sono la campagna, la terra nera.
Tu per me sei il raggio e l’umida pioggia
Tu sei il mio Dio e Signore, e io
sono terra nera e carta bianca”1.
In questo testo, la Cvetaeva opera concettualmente una suddivisione tra un io – quello “sporco”, nero – e un tu luminoso, ma al contempo definisce l’io abissale e oscuro come quello capace di accogliere (la pagina bianca per la penna, appunto). È straordinaria l’operazione che fa nell’elevare l’io (che affonda) verso l’Altro.
Poi c’è il rapporto che la Cvetaeva instaura con la parola in quanto corpo, materia sostanziale e salvifica, che ugualmente abbraccio con lo stesso slancio. In un esperimento poetico (condotto da me con un amico poeta – Davide Zizza: un carteggio tra noi due poeti del presente, ma nei panni di due poeti del passato: Marina Cvetaeva nel mio caso e Osip Mandel’štam nel suo), richiamo questo rapporto, scrivendo:
«Non ho mai cercato altro che l’incanto e la
disperazione buona dell’amore. Parlerò di te
a questo mio fedele tavolo di scrittura.
Ti ricorderò come la cicatrice che segue
l’esperienza della venuta al mondo, come
il pianto che arriva alla vita e prova a divorarla»2
citando la poesia “Il tavolo” della Cvetaeva:
«Fedele mio tavolo di scrittura!
Grazie per essere andato
con me per tutte le strade.
Per avermi difeso — come una cicatrice»3.
Ma io tento di muovermi anche nell’insidioso terreno della subordinazione emotiva verso l’Altro. Come ben “narra” Amelia Rosselli in questi versi:
«io non so se io rimo per incanto o per travagliata
pena. Io non so se rimo interamente
per te»4
la quale, tuttavia, ha – come spesso accade anche al mio personale tentativo di scrittura poetica – un rapporto privilegiato anche con la sostanza materica, gli oggetti e il loro peso.
«vince il peso
degli oggetti, il loro significare
peso e perdita»5
sono i versi della Rosselli che hanno ispirato un mio testo, a cui mi sento particolarmente legata, proprio in virtù dell’omaggio poetico che contiene:
«Mi atterra il ricordo, peso che nulla
esclude della sequenza di eventi che
non saranno la dimenticanza che cerco»6.
E poi c’è la disperata disillusione, la fine sempre ad un passo. Ma che quel passo lo manca (a differenza di quanto scelto dallo scrittore torinese che stiamo per citare), forse grazie alla parola poetica. Come in Cesare Pavese, immenso poeta oltre che prosatore, che non teme di osare o esasperare la parola nel narrare la tristezza.
«Tu per me sei una creatura triste,
un fiore labile di poesia
[…]
la miseria dell’anima mia,
la mia miseria triste»7
scrive Pavese, provando quasi a stigmatizzare il concetto di vittima, sovvertendo i ruoli che dal male ricevuto, ci fanno passare a quello auto-determinato. Sarà poi il lettore a capire e scegliere la parte in cui vuole accomodarsi. È proprio questo il potere dell’arte, quella poetica compresa: aprirsi all’Altro, lasciandolo libero di scegliere se soffermarsi – e dove – o andare oltre.
Felicia Buonomo è giornalista e autrice. È giornalista televisiva presso Mediaset e redattrice di Osservatorio Diritti. Nel 2007 inizia la carriera giornalistica, occupandosi principalmente di diritti umani. Alcune sue poesie sono state pubblicate su riviste e blog letterari italiani, statunitensi e francesi. Pubblica il saggio “Pasolini profeta” (Mucchi Editore, 2011), il libro-reportage “I bambini spaccapietre. L’infanzia negata in Benin” (Aut Aut Edizioni, 2020) la raccolta poetica “Cara catastrofe” (Miraggi Edizioni, 2020) e la raccolta poetica “Sangue corrotto” (Interno Libri, 2021). Dirige la collana di poesia sociale/civile, “Récit”, per Aut Aut Edizioni.