Vita che brucia.
Dagerman.
Come per Alberto Moravia, Borges, Hemingway, la poesia si offre in Stig Dagerman quale strumento irrinunciabile per confessare se stessi, con parole nude e senza i costrutti di una narrazione. La poesia qui raccolta – è strano dirlo – non pone Dagerman quale inedito poeta, ma scrittore di grande forza immaginifico e precoce osservatore di mondo che necessita di esplorare il proprio inconscio. In Breve è la vita di tutto quel che arde (testo svedese a fronte) per i tipi di IPERBOREA, la poesia si decontestualizza ed è preminentemente confessionale: vero che in alcune pagine emergono tratti di denuncia politica e sociale, ma l’esercizio della poesia raggiunge maggior forza e incisività quando Dagerman tocca con ogni parola i propri nervi. I propri incubi.
Così come Glenn Gould prima di ogni concerto si esercitava e corteggiava la sua musica eseguendo sempre Bach – ricominciando quindi dalla sommità, dalla vertigine, per ridiscendere fra umani con necessaria Sicurezza – Dagerman piano procede verso la prosa che ha sempre caratterizzato il suo stile incantato, innocente e pungente. Ed è interessante in questo libro il processo creativo che passa dalla scrittura giovanile in versi alla disinvoltura della prosa delle ultime pagine.
Ancora una volta la poesia si enuncia quale criterio inevitabile per imparare a varcare gli assoluti della immaginazione di cui Dagerman era straordinario e precocissimo talento che arde. E che brucia.
Un giorno all’anno si dovrebbe immaginare
la morte chiusa in una scatoletta bianca.
A nessuna illusione si dovrebbe rinunciare,
nessuno morrebbe per quattro dollari in banca.
[…]
Nessuno vien bruciato all’improvviso
e nessuno per strada ha da crepare.
Certo, è menzogna, son del vostro avviso.
Dico soltanto: Possiamo immaginare.
Hesse.
Diversissimo il caso di Hermann Hesse.
Hesse era poeta che impregnava di poesia ed enunciazione spirituali ed estetiche la sua scrittura; vale per tutti Narciso e Boccadoro o il celeberrimo Siddartha. Hesse. In queste prose poetiche de Le stagioni (Guanda) Hesse – uomo maturo, scrittore già affermato – ricerca nei suoi luoghi di ritiro quel tempo che passa attraverso le stagioni e concede momenti imprescindibili di ozio quale occasione sublime di contemplazione e creatività. In questi scritti Hermann Hesse appare nostalgico, stanco degli anni che gli si accumulano sulle spalle, e le pagine pongono un diario verso se stessi che si configura inevitabilmente in amabili esercizi poetici. La poesia è nel cuore e nell’occhio, e i versi tentano l’inesprimibile – l’amore per la natura, il legame indissolubile con tutto ciò che è bello. Ma ogni stagione ricorda il tempo, la vita che scorre e che abbandona la forza come le foglie abbandonano i rami degli alberi. Le sue parole nascondono un’inquietudine che è anche una imperitura ricerca di sé.
Accanto al ruscello
dietro ai rossi salici
molti fiori gialli
in questi giorni aprirono
i loro occhi d’oro.
E me, da tempo ormai dell’innocenza privo,
porta la rimembranza verso profondità
alle dorate ore mattutine della mia vita
e limpido mi vedo negli occhi dei fiori.
Volevo andare a distruggere quei fiori;
poi li ho lasciati stare
e vecchio torno alla dimora.