“Che cosa vuol dire coraggio?”
La silloge Città metafisiche, di Ilaria Palomba, pubblicata per i tipi di Emsemble, riporta subito alla mente un’analogia con le Città invisibili di Italo Calvino, ma, come possiamo leggere nell’introduzione a cura di Gabriele Galloni, la poesia risulta dirompente ed è inutile cercare di trovare influenze esterne perché parte da sé stessa e a sé stessa arriva.
Ilaria Palomba, fra le poete più intense della sua generazione, è alla sua terza prova poetica, dopo Mancanza e Deserto. Il tema che lega tutta la raccolta è il dolore in tante diverse accezioni e sfaccettature: il dolore come rinascita, il dolore che squarcia l’anima, il dolore fine a sé stesso e il dolore utile.
Mare
Non c’è divisione in capitoli e le poesie non hanno titolo, peculiarità che ci fa entrare meglio nell’intimo tormento dell’autrice. Come scritto da Galloni, Palomba si offre di raccontare attraverso versi, in metrica libera, “la sofferenza di appartenere al mondo”.
La finestra della mia stanza è
un mare in tempesta e ogni
giorno ritorno dove batte l’onda.
Senza di te il mare non infuria
ma dimentica di essersi infranto
Non ci sono preamboli, il tema del dolore fa da apriporta all’intera raccolta già nella prima poesia in cui ci viene accennato il luogo, la città di Otranto, con il verso “m’inginocchierò per sorgere con l’alba” in netto contrasto con il resto dei versi che trasudano dolore, il “risorgere” lascia la speranza di una rinascita.
Nel gioco del mare
rincorrevo le ore
la pioggia sui passi.
Ed è proprio qui che l’autrice ci mostra quanto il mare sia un argomento cardine dell’opera. L’acqua che guarisce, l’acqua tormentata come gli animi umani, l’acqua protettrice di segreti, delle cose non dette, depositate anche nelle varie città in cui la sua poesia trova ispirazione. Come Roma, la città eterna, l’eterna bellezza, che dopo la morte porta speranza. Oppure Napoli, città in cui si dichiara l’immortalità. Questo piccolo gioco che fa prendere un ruolo così cruciale ed intimista a diverse città è la chiave dell’intera raccolta: morire, rinascere, rinascere e sperare per poi soccombere nuovamente.
Sole
Nella seconda parte della raccolta è inoltre molto presente la natura, natura che libera e specchiata in un cielo limpido; natura che punisce, per cui ci perdiamo in un deserto arido fatto di nulla.
Il sole che fa scomparire la luce è infine un continuo paradosso, un continuo stupefacente alternarsi di dolore e speranza, un alternarsi in cui l’autrice si destreggia minuziosamente, dacché la poeta conosce davvero la sofferenza, l’ha attraversata e, anche se con molto sforzo, sa riconoscere la potenza della rinascita, l’odore della nostalgia.
L’augurio finale di Palomba per sé stessa è proprio quello di “tornare al candore” (P. 56, V. 8), senza troppi fronzoli, senza fiamme e senza ritorni, concludendo con un’espressione meravigliosa e pregna di significato: “Bruciavi nell’assenza del sole, metafisica della pioggia.”
Una raccolta breve che, dunque, caldamente si consiglia di leggere: struggente e allo stesso tempo di una delicatezza antica.