“… le mani dei Santi e una palude nel cuore”
Elena Verzì, classe
1990, giovanissima poetessa di Catanzaro, ha esordito nel 2016 con
Fiori e fango (Eretica) e con questa nuova silloge raggiunge una
sorprendente maturità. Una raccolta fresca vincitrice del premio di
Poesia “le Stanze del tempo” indetto dalla fondazione Claudì, in
cui non viene raccontato l’amore smisurato, la cui grandezza
incalcolabile impedisce il discernimento; vi si pone anzi L’Amore
Misurato, com’è titolata la raccolta.
L’amore misurato è
anch’esso misura severa e intima della persona; una misura senza
sconti, a tratti dura a tratti commossa. La poesia di Verzì emerge
da un silenzio contemplativo: un amore che da un silenzio trattenuto
elabora, parola per parola, verso per verso, la misura del micromondointeriore, con un senso di imprescindibile significato che la poesia
sfiora: il senso delle cose. Giacché l’esistenza della poetessa
nasce da un linguaggio raro che per destino deve perseguire, così da
ribadire la propria identità.
Questa poesia è pura
contemplazione dell’esistenza che deflagra in parole essenziali,
libere.
Muta,
ho sceso,
nel vuoto delle
braccia,
la collina dei
conforti di nebbia.
Una moltitudine di
volti
spacca il terreno come
pioppi
per far compagnia ai
propri morti.
Hanno smesso di
piantare ogni verde ricordo
per innestare con arti
scarni
voci
in un paese di sordi.
Una poesia che scolpisce
un’esistenza rivelatasi tramite le emozioni; pensieri anche crudeli,
raddolciti dal sentimento del tempo che tuttavia sedimenta la
speranza di saggiare giorno per giorno un amore stillato dalla bellezza.
Sono nata senza denti
succhio e impasto con
la stessa saliva,
faccio a gara con il
tempo
per non bruciare il
pane
ma sempre duro
lo offro.
Non riesco a
spezzarlo.
Freddo è il forno
da quando raccolta
la cenere
occupa la metà del
mio letto.
(pag.
11)
È
possibile credere in una poesia che come un miracolo grazia il
giorno, e si conserva – tramite i piccoli ma indispensabili
significati del linguaggio acquisito – nei meandri della memoria?
Passato
e presente si frappongono in queste poesie: ciò che per alcuni
può essere poesia, per altri è veleno, diceva Oscar Wilde; ma forse per Verzì è entrambe le cose: la poesia può essere strumento
per trovare una remota fonte di innocenza e, trovandola, comprenderne
la fine: come un amore compreso nella sua paradossale mancanza.
Nuotiamo in acque
morte
mentre le nostre
fetide lingue
annodano lo stomaco
con funi di rabbia.
Galleggiamo senza
speranze,
ingoiando torbide
verità.
Hanno prosciugato ogni
pozza.
Terme al cianuro
bagnano i nostri
pensieri
ed infangano ogni
membra di peccato.
Siamo rinati ciechi
abbiamo le mani dei
Santi
e una palude nel
cuore.
(pag.
31)
Le
parole sono nette, dirette e cristalline, senza fraintendimenti –
compongono una ricerca assidua e urgente che richiede ingegno
compositivo e la coscienza messa a dura prova, onde i sentimenti
unici e (quasi) segreti che toccano la verità di un amore misurato e
indispensabile, raffrontato col metro del cielo e – sempre – della
poesia.
Ma
come giocare e credere nell’emozione dell’amore? Verzì intanto lo
vive, quest’amore scottante quanto delicato, rintracciabile anzitutto in se stessi come fonte primaria di ispirazione; e proprio
con la poesia lo vive, senza retorica, ogni giorno.
Elena Verzì
L’amore misurato
Cartacanta editore
Pag. 64, € 10