È lo sguardo che inganna
colmo di chimera azzurra
che sopravvive tacito e assetato
e nel sogno aggira soli e lune
confondendone i richiami
sì che ogni crimine ogni amore vicendevolmente sopravvivono?
È la voce che sinuosa si cela
fra debole preghiere macchiate dai sensi
sì che i gemiti son patetico diniego
di una condanna afferrata
nella presunzione di una follia benedetta dal silenzio?
È la ferita dal ghiaccio aperto
a contrarsi malata
in una sorda beffa
evocante paure senza tempo e avide
terribili come lampi
che dagli angoli polverosi rimuovono dolori antichi?
Eppure con essi rifuggo le discordie dei miei simili
che ciechi arrancano per rapirmi
insozzarmi il cuore deridendo la mia intimità.
Allora l’odio riluce facendosi mia speme
rinvigorendo con gloria disperata il mio orgoglio
d’un fiore che fu
sbriciolato in colori d’immemore primavera…
la cui fragranza dolce rifiuta la tomba.
Oppure la tristezza porterà in cenere
a seppellire anche i baluginii del bene
a liberare la passione fattasi nefasta
proibita da venti inconciliabili
e dunque l’amore originario
potrà muoversi ancora
d’una luce flebile ma inevitabile.
E la luce degenererà, l’ombra sarà schiusa.