La
Peste di Albert Camus è il best-seller del momento, in piena
quarantena da Covid 19. Già il titolo fa da rimando quasi
obbligatorio a un vissuto tragico che al momento il popolo italiano
sta vivendo e recitando. Ma il testo suggerisce in
qualche modo una risposta alla ricerca di una profonda esplicitazione
letteraria – una guida culturale alla consapevolezza
con cui affrontare questa non-guerra che colpisce il nostro sistema
immunitario.
Il lettore, vittima
dell’isolamento, necessita della narrazione di un sé
inglobato in una solitudine con tempi incerti e ripetutamente
procrastinati: parole, personaggi e scenari che gli spieghino chi è
lui: quale personaggio è, quale scenario vive. E che
significato affibbiare a tutto l’insieme. In effetti, un buon libro
preserva dalla nevrosi mediatica che tutto dice, su tutto informa,
niente spiega.
Tuttavia il capolavoro di
Camus parla una lingua a noi poco comune. Non siamo abituati al suo
approccio filosofico esistenzialista, benché narrato splendidamente,
né al significato che sovraccarica ogni parola scritta. La peste
rimanda e ricorda al non senso dell’esistenza in cui ogni vivente
cade senza alcun motivo dopo aver vissuto senza alcuno scopo. Per noi
che apparteniamo alla specie homo
consumens(secondo Baumann) non è forse un po’
troppo?
Una splendida alternativa
è offerta da un bel romanzo del grande Philip Dick: La
penultima verità. È una risposta sostanziale a tutti gli
indizi che fagocitiamo con facebook, instagram, twitter;
anziché cercare nuove e illuminanti piste epidemiologiche (Selvaggia
Lucarelli) e sperare in 1000 lire euro al mese come
nella vecchia canzone di Gilberto Mazzi (ma nel remix di Giorgia
Meloni); anziché, si diceva, cercare la verità ultima dietro al
Covid 19, i complotti internazionali e di Governo – ecco un romanzo
di senso:
“In un futuro nel
quale la Terra è stata devastata da una guerra nucleare, le città
distrutte e ridotte a lande selvagge e radioattive, troppo pericolose
per la vita umana, gli abitanti sono stati trasferiti nel sottosuolo,
dove si affannano in formicai industriali e ricevono ordini da un
presidente che sembra non invecchiare mai. Nicholas St. James, come
ogni cittadino, crede a ogni parola del suo leader. Ma tutto cambia
per lui quando risale in superficie, dove ciò che trova è più
scioccante di qualsiasi realtà avesse mai potuto immaginare…”
Perché
vivere isolati? Perche non uscire, riemergere, vedere il cielo? Ma
soprattutto, una volta scoperta la causa della nostra prigionia,
siamo davvero giunti alla verità? Siamo davvero emersi dalla
ideologia dell’asservimento e dei rapporti umani consumati dalla
ricerca del momento di piacere? La prosa di Dick, cristallina e quasi
poetica, sa avvolgere il lettore conducendolo in un mondo oppressivo
e isolante. Ma più che verità, cerchiamo il nostro senso di realtà.
E in
effetti la domanda che ne viene è: quando torneremo fuori, come
prima, quale realtà vivremo? E quanto ne saremo consapevoli?
(nota:
la copertina postata risale alla prima edizione Urania, la stessa
collana, viva e vegeta nelle edicole di tutt’Italia)