La poesia non è merce perché non è consumabile. Non è prodotta ‘in serie’ : non è dunque un prodotto. E un lettore di poesia può leggere anche un milione di volte la poesia: non la consumerà mai.
Pier Paolo Pasolini
Avevi ragione, PPP? Eppure persiste una paura: che nell’omologazione della società consumista effettivamente la poesia, rimanendo per natura lontana dall’essere un prodotto, venga soppiantata da una truffa: da una scrittura che somigli vagamente alla poesia stessa, una letteratura fagocitante il sentimentalismo anche sincero dei suoi parolieri; e che diventi perciò prodotto da consumare, simil colto e profondo, spacciato per poesia.
Tre quattro poeti in un secolo esistono, affermò Moravia (che poeta non era) e sono pochissimi, giustamente e tristemente, e di anno in anno seppelliti e dimenticati da centinaia, migliaia di titoli pubblicati da grandi editori che pure controllano e decidono la distribuzione dei libri stessi – che acquisiscono spazi promozionali fisici nelle librerie decidendone il destino e affinché un libro venda tanto e in poco tempo, per fugace piacere, proprio come prodotto usa e getta.
Per ignorare la poesia bisogna mistificarla. Con una finta poesia, una scrittura in versi contro la poesia eternamente libera, allergica a ogni –ismo, ostica e magnifica, misteriosa e cristallina, capace di fermare il tempo in epoca di assurda cronofagia derivata da ogni sistema.
Caro PPP, la poesia sta forse diventando consumabile. O forse no: è un’àncora di salvezza, ma non è per tutti né soccombe al piacere del nulla.
Resiste, in mezzo al silenzio, al totalitarismo consumista e miscredente.
Soccombe per quello che è.