All’italia, di Giacomo Leopardi

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All’italia, di Giacomo Leopardi

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Oggi, in Italia, abbiamo ancora nostro il Paese e l’amore per le sue sorti, lontani da ogni retorica? Giacomo Leopardi (1798 – 1837) ci pone molte domande con una sua celebre poesia. Che cosa gli rispondiamo?

All’Italia

O patria mia, vedo le mura e gli archi 
E le colonne e i simulacri e l'erme 
Torri degli avi nostri, 
Ma la gloria non vedo, 
Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi 
I nostri padri antichi. Or fatta inerme, 
Nuda la fronte e nudo il petto mostri. 
Oimè quante ferite, 
Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio, 
Formosissima donna! Io chiedo al cielo 
E al mondo: dite dite; 
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio, 
Che di catene ha carche ambe le braccia; 
Sì che sparte le chiome e senza velo 
Siede in terra negletta e sconsolata, 
Nascondendo la faccia 
Tra le ginocchia, e piange. 
Piangi, che ben hai donde, Italia mia, 
Le genti a vincer nata 
E nella fausta sorte e nella ria. 
Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive, 
Mai non potrebbe il pianto 
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno; 
Che fosti donna, or sei povera ancella. 
Chi di te parla o scrive, 
Che, rimembrando il tuo passato vanto, 
Non dica: già fu grande, or non è quella? 
Perchè, perchè? dov'è la forza antica, 
Dove l'armi e il valore e la costanza? 
Chi ti discinse il brando? 
Chi ti tradì? qual arte o qual fatica 
O qual tanta possanza 
Valse a spogliarti il manto e l'auree bende? 
Come cadesti o quando 
Da tanta altezza in così basso loco? 
Nessun pugna per te? non ti difende 
Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo 
Combatterò, procomberò sol io. 
Dammi, o ciel, che sia foco 
Agl'italici petti il sangue mio. 
Dove sono i tuoi figli? Odo suon d'armi 
E di carri e di voci e di timballi: 
In estranie contrade 
Pugnano i tuoi figliuoli. 
Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi, 
Un fluttuar di fanti e di cavalli, 
E fumo e polve, e luccicar di spade 
Come tra nebbia lampi. 
Nè ti conforti? e i tremebondi lumi 
Piegar non soffri al dubitoso evento? 
A che pugna in quei campi 
L'itala gioventude? O numi, o numi: 
Pugnan per altra terra itali acciari. 
Oh misero colui che in guerra è spento, 
Non per li patrii lidi e per la pia 
Consorte e i figli cari, 
Ma da nemici altrui 
Per altra gente, e non può dir morendo: 
Alma terra natia, 
La vita che mi desti ecco ti rendo. 
Oh venturose e care e benedette 
L'antiche età, che a morte 
Per la patria correan le genti a squadre; 
E voi sempre onorate e gloriose, 
O tessaliche strette, 
Dove la Persia e il fato assai men forte 
Fu di poch'alme franche e generose! 
Io credo che le piante e i sassi e l'onda 
E le montagne vostre al passeggere 
Con indistinta voce 
Narrin siccome tutta quella sponda 
Coprìr le invitte schiere 
De' corpi ch'alla Grecia eran devoti. 
Allor, vile e feroce, 
Serse per l'Ellesponto si fuggia, 
Fatto ludibrio agli ultimi nepoti; 
E sul colle d'Antela, ove morendo 
Si sottrasse da morte il santo stuolo, 
Simonide salia, 
Guardando l'etra e la marina e il suolo. 
E di lacrime sparso ambe le guance, 
E il petto ansante, e vacillante il piede, 
Toglieasi in man la lira: 
Beatissimi voi, 
Ch'offriste il petto alle nemiche lance 
Per amor di costei ch'al Sol vi diede; 
Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira. 
Nell'armi e ne' perigli 
Qual tanto amor le giovanette menti, 
Qual nell'acerbo fato amor vi trasse? 
Come sì lieta, o figli, 
L'ora estrema vi parve, onde ridenti 
Correste al passo lacrimoso e duro? 
Parea ch'a danza e non a morte andasse 
Ciascun de' vostri, o a splendido convito: 
Ma v'attendea lo scuro 
Tartaro, e l'onda morta; 
Nè le spose vi foro o i figli accanto 
Quando su l'aspro lito 
Senza baci moriste e senza pianto. 
Ma non senza de' Persi orrida pena 
Ed immortale angoscia. 
Come lion di tori entro una mandra 
Or salta a quello in tergo e sì gli scava 
Con le zanne la schiena, 
Or questo fianco addenta or quella coscia; 
Tal fra le Perse torme infuriava 
L'ira de' greci petti e la virtute. 
Ve' cavalli supini e cavalieri; 
Vedi intralciare ai vinti 
La fuga i carri e le tende cadute, 
E correr fra' primieri 
Pallido e scapigliato esso tiranno; 
Ve' come infusi e tinti 
Del barbarico sangue i greci eroi, 
Cagione ai Persi d'infinito affanno, 
A poco a poco vinti dalle piaghe, 
L'un sopra l'altro cade. Oh viva, oh viva: 
Beatissimi voi 
Mentre nel mondo si favelli o scriva. 
Prima divelte, in mar precipitando, 
Spente nell'imo strideran le stelle, 
Che la memoria e il vostro 
Amor trascorra o scemi. 
La vostra tomba è un'ara; e qua mostrando 
Verran le madri ai parvoli le belle 
Orme del vostro sangue. Ecco io mi prostro, 
O benedetti, al suolo, 
E bacio questi sassi e queste zolle, 
Che fien lodate e chiare eternamente 
Dall'uno all'altro polo. 
Deh foss'io pur con voi qui sotto, e molle 
Fosse del sangue mio quest'alma terra. 
Che se il fato è diverso, e non consente 
Ch'io per la Grecia i moribondi lumi 
Chiuda prostrato in guerra, 
Così la vereconda 
Fama del vostro vate appo i futuri 
Possa, volendo i numi, 
Tanto durar quanto la vostra duri.

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