Leggere sempre!
Ancora una volta la poeta Serena Mansueto ci offre un piccolo ma splendido articolo, un vademecum per individuare le poesie e gli autori giusti per arricchire in bellezza – e poeticamente – il Natale in arrivo.
Scegliere
Scegliere un libro di poesia per farne dono a un lettore (o ad un poeta), augurandogli buon Natale, potrebbe richiedere delle capacità soprannaturali. Considerando la difficoltà di scelta tenteremo di darvi dei consigli, proponendovi alcune letture di testi pubblicati non solo nell’anno corrente ma anche negli anni passati, nonché successive ristampe.
Vi indichiamo, a seguire, cinque letture di voci molto distanti tra loro per maturità di scrittura e stili, sperando di accontentare tutti i gusti e gli “orientamenti” poetici.
Quello che non so di me, di Antonietta Gnerre (Interno Poesia Editore, 2021)
Il chiarore della poesia di Antonietta Gnerre in Quello che non so di me dimora nella capacità di consacrare l’unione tra le più vive percezioni e il mondo naturalistico. Quest’unione armonica è realizza a partire da un luogo che non è soltanto uno spazio ma è un’appartenenza, un’eco di ritorno in un sottofondo elegiaco: “gli alberi mutano in forma di ricordo,/ anche loro non sono pronti a dirmi addio”.
L’Irpinia è innestata anche nei cieli, nelle ricorrenti ‘nuvole’ in uno sguardo che protende sempre verso l’alto, l’ignoto. Cesare Pavese scriveva: “Le nuvole sono legate alla terra ed al vento”, allo stesso modo si avvertono nella poesia di Antonietta come richiami, legature e, ad un tempo, come una distanza (o un distacco): “le indosso come un miracolo che non devo conoscere”.
Quello che mi piace del tuo nome
è ciò che non è stato nei secoli.
Da bambino ti svegliava
quando non sapevi parlare.
Quando non conoscevi i numeri.
Lo ascoltavi in silenzio
prima di aprire gli occhi,
prima che lo smalto di una nuvola
diventasse grigio.
Lo so: hai bisogno di saperti in questo nome.
Di indossarlo come fosse seta,
straccio, riparo momentaneo.
Quel suo stare con te
moltiplica i tuoi pensieri.
La parola di Antonietta è densa, collocata con acribia, e appare riposta nei componimenti in un ordine trascendentale, quasi precostituito. Ogni singolo verso racchiude all’interno un costrutto, un valore, rimarca una maturità di scrittura ma, ancor prima, una perpetua meditazione sulla decostruzione e ricostruzione del sé: “poggio le mani sui muri ancora caldi /dell’ultima estate./ Le poggio per misurare chi siamo”.
Luce del verbo impazzire di Antonio Bux (Il Convivio Editore, 2021)
Con Luce del verbo impazzire la parola poetica di Antonio Bux è continuamente sul precipizio, sul “burrone maestoso che ci insegna a cadere” per misurare la distanza che intercorre tra l’interrogarsi e il definirsi, guardando nella cavernosa profondità della vita. Obscurum per obscurius – l’oscuro per mezzo del più oscuro -, tuttavia non nell’accezione spregiativa, i versi affrontano l’oscurità colma di elucubrazioni con un ulteriore senso di irraggiungibilità della luce, in una continua tensione alla verità. Traspare la difficoltà di so-stare pacificamente vicino alle proprie visioni: “i miei occhi un destino/ di lava silenziosa, al mattino/ tolgo le bende e non vedo/ che chiodi sparsi oltre il cielo”.
I versi oscillano nella dualità di un dialogo intimo, personale, con un tono maggiormente interlocutorio, un ‘tu’ in cui nasce e si alimenta il confronto e la coscienza umana. È nell’esperienza con l’altro che la tensione della parola diventa reale:
Sono solo atomi le mie parole
hanno distanza dal mondo
perché il mondo le vuole chiare
non germogliate dal fuoco più azzurro
che io chiamo l’ultima detonazione
da te che provi a capire chi sei
[…]
I testi di questa silloge sono avviluppamenti di un intricato flusso di pensieri che scandaglia il tormento di voler esprimere un’interpretazione sulla derivazione (e sulla deriva) dell’uomo e sul valore di ciò egli rappresenta nel mondo: “siamo noi forse il peso della terra/ o la gravità di una scintilla assopita”, quel sempiterno ‘tanto’ o ‘nulla’ della vita umana.
La resa del grazie di Paola Mancinelli (Giuliano Landolfi Editore, 2019 – seconda edizione 2022)
La voce di Paola Mancinelli è un suono gentile, una riconciliazione con “il miracolo quotidiano/ tra le delusioni del giorno”. La resa del grazie, con prefazione di Giovanna Rosadini, cerca di dare un’altra possibilità alla vita: quella di arrendersi alle piccole gioie con abbandono totale e con il privilegio di saper cogliere (e compiere) “i gesti comuni fatti senza pensiero”.
Fammi bianca, luce che filtra
nel tuo cono d’ombra
e lo riveste di contentezza
fammi profezia, lingua antica
generosa di segni, fammi segreta
silenziosa consistenza di neve
leggera e perfetta nei cristalli
fammi docile, esile avvento di ogni bene.
La parola poetica di Paola è una preghiera consapevole, non già una speranza velleitaria ma una minuziosa riscoperta del donarsi alla vita senza congetture e senza ridefinizioni o ricostruzioni razionalistiche “perché il più delle volte/ la cosa straordinaria è anche la più semplice”. È una scrittura luminescente, di ampia umiltà e con un respiro profondo sul raggiungimento di un bene individuale: “lasciate spazio alle feritoie – mi dicevi/ fatela passare la gioia tra le mura./ Attraversatela.” Non sono versi che declamano uno smarrimento, la perdizione dell’uomo incompiuto, come spesso accade. Reggono invece una capacità di avvicinarci alla soglia dello stupore, affrancandoci dalla voracità del nostro tempo che ci chiede di fletterci al delirio dell’immediatezza e rivolgendo, così, lo sguardo – spesso miope – all’immateriale di cui sono fatti i nostri gesti per accorgerci e consapevolizzare che talvolta, e silenziosamente, “il cuore è all’insù/ tra le radici aeree.”.
A un ricordo da te, di Selene Pascasi (Scrivere Poesia, 2022)
La poesia di Selene Pascasi, avvocata, giornalista del Sole 24 Ore, ricongiunge al passato e al contempo allontana il legame affettivo che pur tuttavia, tenace e fedele, nella sua resistenza conferma l’amore stesso che vibra su ogni percezione e respiro. Un amore che rimane sempre, anche quando, per imprevisti impietosi della vita e difficili da accettare, non pare più ricambiato.
A un ricordo da te è il nuovo libro della collana Poetica della Casa editrice solidale Scrivere Poesia Edizioni. Il ricavato è destinato per un terzo alla straordinaria Associazione Airalzh (https://www.airalzh.it/) che ogni giorno promuove su scala nazionale la ricerca medico-scientifica sull’Alzheimer .
È necessario a volte
l’esercizio delle perdite.
Consuma l’abitudine.
Scavando pareti avverse
vince fughe scalze nell’acqua
scova alleanze giurate d’infanzia
sistema l’orizzonte.
Pirouette di stanze vuote.
Mr. me di Maurizio Evangelista (Arcipelago Itaca, 2022)
La silloge del poeta Maurizio Evangelista, che ha convinto la giuria della 7^ edizione del Premio “Arcipelago Itaca”, spicca per l’originalità del tema fondante. Mr me è un ‘io’ eterogeneo e multiforme, costruito a partire dalle stanze di un albergo – metafora di luogo intimo ma impersonale – in cui l’autore sembra osservare dal buco della serratura, fino a rivolgere lo sguardo più a fondo, nell’intricata quotidianità della vita umana. Una realtà immaginata ma non per questo poco veritiera o aderente alla condizione dell’uomo e alla sua caducità. Emergono la solitudine, i rapporti effimeri nella logica consumistica e la rapidità nel compimento dell’amore: ogni stanza è una vita che prende forma e trascina con sé la fragilità e l’inconsistenza della sommatoria dei giorni.
in questa stanza sono nudo
e tutti quelli che amo sparsi
come briciole della colazione.
a me basta raccoglierli con le dita
per sentirne la mancanza.
Il linguaggio è lineare, privo di torsioni o manierismi ma con alcuni esiti espressivi maggiormente ricercati. È emblematica la comparsa, all’interno dei componimenti, di personaggi della scena cinematografica e artistica, dando forma alla rappresentazione di una scena quasi allegorica in cui si palesa l’incommensurabile ambizione di vivere sotto i riflettori: “lui è King Kong a Manhattan/ io sono Jessica Lange/ con l’asciugamano tra le mani/ mi riprendo felice/ sull’Empire State Building”. Ne deriva un’immagine dell’uomo e della sua tensione allo stra-ordinario o al più solido piacere di questa vita che il poeta e filosofo Giacomo Leopardi definì il piacere vano delle illusioni (Zibaldone, 51).