Agota Kristof abbandona il suo paese, l’Ungheria, minacciato dalla potenza russa, e con rancore verso il marito che impose tale scelta e un bambino di quattro mesi in braccio. Con l’esilio lascia inoltre la terra, le parole, i suoi studi; si rifugia in Svizzera, nuova incerta patria fino alla morte. E abbandona infine, per quasi fatale distrazione, anche le sue poesie.
Nella nuova vita Kristof ha nella mente e nel cuore poche parole, quelle francesi, di cui dubitare perfino degli aggettivi o dei loro costrutti; ma la necessità di scrivere e raccontare il suo straordinario mondo è insopprimibile.
Nasce così Il grande quaderno, confluenti in due successivi romanzi che, nell’insieme, compongono il grande capolavoro: l’irripetibile Trilogia della città di K.
Un testo crudo, di una prosa secca, lancinante e spietata, terribile. Un pugno allo stomaco per l’evocazione disperata di un mondo senza anima e di infinita desolazione.
Ma il cuore di Agota kristof non è riposto pienamente nel suo lavoro di prosa: è arenato – e ancora battente – nella Poesia.
Impossibilitata a risollevare dal nulla le poesie lasciate nella terra d’origine, Agota Kristof si arrischia nel riscriverle: come fece Dino Campana con i Canti Orfici.
Era questione di sopravvivenza.
La scrittrice raccolse una serie aggiuntiva di versi che concludevano un autoritratto nitido e più esaustivo del mondo lacerato della scrittrice.
I temi presenti in questa silloge – per chi ha letto la trilogia – sono familiari: desolazione, annullamento, morte, amore e assenza. E ovviamente tanto altro.
I suoi versi sono sorprendenti e scoprono la sua intimità; non è poesia confessionale ma un vissuto di momenti e angoli peculiari del mondo, compenetrati alla sua anima: momenti che, bloccati da chiodi, le parole, preparano e allestiscono con radicale perplessità il compimento ed epilogo della vita: cioè la morte.
Si ravvisano differenze stilistiche fra le prime poesie e le successive: le prime hanno maggior ricchezza figurativa e, apparentemente, maggior sentimento; le seconde sembrano più apparentate alla Kristof celebre prosatrice, svolte con un tono e ritmo quasi dialogico: versi comunque profondi quanto disincantati e allucinati dalla convivenza fra vita e morte nello svolgimento precipuo dell’esistenza.
Kristof considerava con molta importanza e affetto la sua opera poetica e più volte espresse il desiderio che venissero raccolte in un unico libro. Così è andata, fortunatamente, grazie alla sensibilità dell’editrice Casagrande.
Ne aveva ben donde, Agata: le sue poesie toccano profondità forse mai raggiunte altrove. E sono splendide e disarmanti.
Chiodi
Di Agota Kristof
Ed. Casagrande
Pag. 100, €16