Genio e pazzia
Mi hanno chiamato pazzo; ma nessuno ancora ha potuto stabilire se la pazzia sia o non sia la più elevata forma d’intelligenza, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non derivi da una malattia del pensiero, da umori esaltati della mente a spese dell’intelletto generale.
E.A. P.
Molti ricordano l’anniversario di nascita di Edgar Allan Poe, onorando il 19 gennaio del 1809. Poe morì a soli quarant’anni, in circostanze non del tutto chiare (e con mille congetture ad accompagnarne la dipartita). Nonostante la more prematura, il suo contributo alla storia della letteratura americana e mondiale è stato di straordinaria importanza. Poe ha tentato (con poco successo) di intraprendere in toto la strada dell’artista indipendente, dello scrittore che sbarcasse il lunario direttamente con le royaltes derivanti dai suoi scritti.
Ero dunque arrivato a concepire un corvo, uccello del malaugurio, che ripetesse monotonamente quella sola parola,
Nevermore
Recensore spietato, eppur critico letterario sensibilissimo e attento, con il saggio sulla Poesia dedicata alla sua celeberrima composizione Il Corvo, Poe ha lasciato prova di una lucidità straordinaria intorno ai processi creativi che navigano sul mistero della ispirazione e della scrittura poetiche.
Un piccolo mito, un grande fraintendimento
Con la stessa lucidità, alla cura di un congegno perfetto, Poe ha scritto i suoi racconti del terrore. Invero racconti angoscianti e paurosi, impareggiabili: Il cuore rivelatore, il Pozzo e il Pendolo, La Caduta della Casa degli Usher, Il gatto nero e tanti altri; Poe è artefice di archetipi letterari di infinite possibilità, e giustamente definito il padre della letteratura horror. Il paradosso, le situazioni allucinanti createsi nella narrazione, l’angoscia profonda ribadita da una finezza psicologica costante, certamente indicano – fuori da ogni dubbio e strano mito che circola nelle scuole – che Poe riscrivesse le proprie angosce e le manie lungi dalla sua vita di alcolizzato e drogato. Rigettando il mito dello scrittore maledetto che debba sempre essere intrecciato a una storia di droga e dipendenza.
Al contrario, la scrittura chirurgica e l’incredibile abilità stilistica erano dettate da un genio e una lucidità propri di un grandissimo scrittore.
La poesia è spiccatamente romantica, ma in Poe si accosta alla scrittura dell’angoscia, allo sguardo d’oltretomba (ricordate gli Inni di Novalis, la precarietà dell’esistenza, il timore della morte, la morte stessa vinta dall’amore?) alla visione “pregotica” del cuore umano; e per questo la sua scrittura è universale: la razionalità compositiva da una parte, le pulsioni dello spirito umano dall’altra.
Nel buio della notte ho sognato
visioni di una gioia ormai sepolta;
ma un altro sogno fatto nella veglia,
di luce e vita, mi ha spezzato il cuore.
La combinazione è straordinaria. E le opere del genio americano ancora oggi indagano la natura umana.
E continuano a essere amate.
“Proprio qui si può dire che la poesia abbia avuto inizio: alla fine, dove ogni opera artistica dovrebbe iniziare.”