“Queste ricche maschere”.
Thanatofobia è una raccolta di poesie scritta da Guglielmo Aprile, edita nel 2022, per la collana Mangiaparole e pubblicato da Progetto Cultura.
Partendo dalla prefazione a cura di Carlo Ambrogio, si può subito capire a cosa faccia riferimento il titolo e in seguito il resto della raccolta: Tanatofobia, ovvero la paura della morte.
Cosa c’è di più comune della paura della morte, dell’ignoto e dell’oblio?
Capacità straordinaria dell’autore è quella di prendere un concetto così diffuso e trascriverlo in versi.
Possiamo dunque evincere già dal titolo cosa ci aspetterà lungo questo viaggio – alle volte complicato – attraverso la raccolta.
Smarrimento
La parola non si riferisce solo ed esclusivamente alla paura della morte stessa, bensì, come detto sopra, allo smarrimento al pensiero di sapere ciò che potrebbe esserci o non esserci dopo.
La silloge è piena di spunti, di citazionismo. L’autore raccoglie concetti facendoli suoi senza mai copiare o cadere nel banale; è piuttosto una ricerca nel suo io più profondo: Cosa ci troveremo ad affrontare un giorno? C’è un qualcosa peggiore del tedio del non poter sapere?
Molte sono le premesse che necessitano di essere sottolineate. Tra i versi troviamo per esempio Il sublime di Kant, Leopardi e il suo concetto di natura, Pirandello e la caduta della maschera, la scoperta del vero io, della vera, cruda realtà. Ma andiamo con ordine.
La raccolta è suddivisa in quattro capitoli: le conseguenze dell’eclissi, l’avvistamento della cometa, i leoni gottosi e gorgo unanime.
Il lessico non è semplice, l’autore ha una perfetta capacità di passare da un registro quasi colloquiale ad una scrittura aulica, motivo per il quale non tutto può risultare chiaro all’occhio di lettori meno attenti.
La poesia è molto intima, a tratti ricorda la poesia confessionale Americana. L’introspezione è estremamente accurata e nulla è lasciato al caso.
Cielo vuoto
La prima parte della raccolta ha un che di simbolico.
Nella poesia “Safari” troviamo già nel titolo il senso dei versi: un senso generale di degrado e assoluto menefreghismo nei confronti della natura da parte dell’uomo.
Ne “il cielo vuoto, il cielo nudo” ci si ricollega a Pirandello:
queste ricche maschere
Ci si scollerebbero dalla faccia
Concetto della caduta della maschera e della rivelazione senza pietà di ciò che è reale, altro punto che troviamo all’interno del capitolo “L’avvistamento della cometa”, infatti in “Un giorno o forse mai” nel primo verso :
la data è fissata per sempre
e ciclicamente torna il concetto di un tempo e uno spazio indefinito; l’introspezione è fortissima, così come forte è il richiamo a questo uomo preoccupato che corre incontro all’autore dicendogli che c’è un cadavere sul fiume e che con sgomento ci si affaccia alla scoperta: il cadavere è l’autore stesso. Cala il sipario, ci si toglie le maschere ma non si decide comunque di affrontare la realtà.
Imperatrice
La morte è tanto rispettata, quanto temuta; viene chiamata Imperatrice, Unica regina del tempo, facendoci intuire che la morte sia proprio quella donna vestita di nero che ci sta solo aspettando, lasciandoci tempo per vivere qui ed ora ma che un giorno ci rivorrà con se.
Il climax è complicato o forse assente, di nuovo scorgiamo nell’autore una grande capacità di passare dal tema della morte fine a se stesso, se così possiamo dire, al tema della morte legato alla ribellione di una natura che sembra non essere affar nostro, la natura che si ribella, proprio quella natura di cui nelle operette morali parlava Leopardi.
E noi?
Non manca di certo il Panismo D’Annunziano, la natura che si fa uomo, l’uomo che si fa esso stesso natura ma non per scopi puri, perché è chiaro che secondo Aprile, un giorno, sia la morte che la natura torneranno a prendere ciò che loro spetta.
E noi? cosa succederà ai nostri ricordi? Quale sarà il destino della razza umana?