“Spesso il piacere è un ospite passeggero; ma il dolore | ci avvinghia crudelmente.”
Amare John Keats
John Keats è una delle voci più intense e struggenti del Romanticismo inglese. Molti lo ricordano per la sua tormentata e infelice storia d’amore con Fanny Brawne, altri per l’amicizia con Percy Bysshe Shelley, John Polidori e Lord Byron. Tuttavia, al di là delle vicende biografiche, è nelle sue poesie che si rivela l’essenza più autentica del poeta: un’anima ardente, pervasa dal desiderio di bellezza, dal senso della caducità della vita e dalla volontà indomabile di lasciare un segno indelebile nella letteratura.
Keats visse appena venticinque anni, un tempo brevissimo che non gli impedì di sviluppare un’immensa sensibilità poetica. A differenza di altri autori romantici, non venne da una famiglia nobile né ricevette un’istruzione universitaria prestigiosa. Eppure, in pochi anni studiò con voracità, affinò il suo stile e fece della poesia la sua missione. Questo lo portò a un’ambizione bruciante: non solo scrivere, ma essere un grande poeta, capace di dare alla sua epoca versi immortali.
La sua concezione della poesia era profondamente legata alla bellezza e alla natura. Nei suoi versi, la natura non è solo un elemento estetico, ma una forza viva e pervasiva, un riflesso delle emozioni umane. Pensiamo alla celebre “Ode to a Nightingale”, in cui il canto dell’usignolo diventa simbolo dell’eternità dell’arte, contrapposta alla fugacità della vita umana. O ancora alla “Ode on a Grecian Urn”, dove la contemplazione di un’antica urna greca si trasforma in una riflessione sul rapporto tra tempo, arte e verità, culminando nel celebre verso: “Beauty is truth, truth beauty”.
Sfida eterna
Eppure, Keats è anche radicato nella paura e nella sfida contro la morte. Egli sentiva la morte in sé, e forse per paradosso sentiva ancora più intensamente la forza della bellezza. Più era vicino alla morte, alla curiosità della vita e del suo corpo malato, più la bellezza e la poesia lo prevedevano. Questa consapevolezza della propria fragilità non lo portò al nichilismo, ma a un’esaltazione ancora più intensa dell’arte e dell’esistenza. La sua poesia è spesso un dialogo tra la vita e la morte, tra il desiderio di eternità e l’angoscia del tempo che scorre.
Keats non conobbe la gloria in vita. Le sue opere furono accolte con freddezza dalla critica contemporanea, eppure oggi è considerato uno dei massimi poeti di tutti i tempi. Il suo insegnamento più grande risiede forse nella sua capacità di abbracciare la poesia con tutto sé stesso, di viverla come un destino inevitabile. Come scrisse in una lettera a un amico:
“Se la poesia non nasce con la stessa naturalezza delle foglie sugli alberi, allora è meglio che non nasca affatto.”
Oggi, leggendo Keats, non possiamo fare a meno di percepire quella passione febbrile che lo animava, il suo desiderio di trovare nella poesia una via per l’eternità. E forse, proprio grazie alla sua dedizione assoluta, c’è riuscito.