“Desolato era il letto di Mordred.”
Quasi 150 anni fa ci lasciava il grandissimo John R.R. Tolkien (3 gennaio 1892 – Bournemouth, 2 settembre 1973 ). Linguista fra i più eminenti del suo tempo, visse incursioni nel passato di una lingua piena di storia e una vita straordinaria, illuminata da grandi amicizie (come C.S. Lewis) nonché una passione fondamentale per la narrativa. Convertitosi al cattolicesimo e alla magia di una liturgia secolare cui non era avvezzo, Tolkien rimane celeberrima firma di una trilogia fantasy capace di raccogliere nelle sue pagine epiche un mondo etereo e drammatico, saturo di mistero e fede, Il Signore degli Anelli, di cui si può avere un eccezionale proemio con un romanzo breve considerato il suo autentico capolavoro, Lo Hobbit, a noi giunto con un’intensità di scrittura mai più ripetuta.
Tuttavia ci preme segnalare l’incursione del Maestro nella poesia, più specificatamente nel Poema. Bompiani ci propone The Fall of Arthur, La caduta di Artù, rispettandone la frammentarietà della composizione, progetto ambizioso che Tolkien abbandonò per dare spazio proprio a Lo Hobbit. Opera giovanile e incompiuta dei suoi anni Trenta, il poema allitterato è una visione spietatamente moderna di un Occidente in crisi e di un Difensore della fede che forse oggi manca o non abbiamo mai riconosciuto.
Il poema coglie in pieno la formazione del pensiero del giovane Tolkien: la contrapposizione fra Bene e Male; il mistero drammatico del peccato che avvinghia il cuore. Il pensiero acerbo di Tolkien si connatura e matura tuttavia con altri mezzi espressivi, con la prosa de Lo Hobbit, poi esplosa nel lunghissimo Lord of Rings. Ma nella forma-poesia sperimentiamo un’energia vibrante allo stato grezzo che affascina enormemente. Ma che mancava ancora di quella nuova mitologia eccezionale che ha segnato l’immaginario del Ventesimo secolo e ancora ci affascina.