Odoardo Giansanti, detto Pasqualon, era verace sintesi tra saggezza popolare e poesia. Il poeta dialettale, cieco e sgangherato (ma con una tuba nera in testa) poverissimo, declamava in Piazza Vittorio Emanuele, ora Piazza del Popolo, i suoi versi, le sue storie – eppure guardava Pesaro, anche se non vedeva, e udiva e percepiva gli umori cittadini, benché impegnato, con voce altisonante, a palesare la poesia fra le genti.
Duard, Pasqualon, con la sua povera esistenza, i suoi acciacchi e la miseria e la vecchiaia, raccontava la vita e raccontava la città con arte verace e tragicomica: egli incarnava un modo di vivere cittadino che oramai è divenuto lontano, quasi segreto – ma ribadito sempre con toni un po’ strampalati.
Il francese
Leggere, ora, le sue poesie dialettali – masticarne la pronuncia, la consistenza, seguirne il ritmo – significa provare una incursione storica lontana ma anche nitida, territoriale, verace, colma di una identità che manca proprio ai pesaresi, i quali non sentono la nobilitazione della storia comune tramite la poesia. Il pesarese odierno – si dice – l’è ‘n tip ‘gnorant e chiuso eppure iperconnesso, moderno, pur sempre relegato fra due bei monti, su un mare e un porto famigliari che compongono un micromondo da rivedere, rivivere e amare. Pasqualon, il cui bsares era già allora poco capito perché, in fin dei conti, l’era una “poesia simile al frances” (come orgogliosamente affermava in effetti anche mia nonna), è tuttora un bsares significante che dice terra, gente, radice e colori; significa autenticità.
E le pasqualonedi in suo omaggio, celebrate quando il nostro era ormai vecchio e acciaccato, senza la moglie rinchiusa in nosocomio, derivavano da poesie che toccavano una profonda dignità umana, ancor oggi commovente. Questa la forza della poesia dialettale, non sempre ben vista; e alor, abbasso i critici!
Signori gentilissimi
Sti giorne a jò impared
Che i versi miei vernacoli
I è poch desidered
Perché si stenta a leggere
Ste mi dialett bsares.
Non tutti lo capiscono
Parchè l’è mezz frances.
Così diceami un critico:
“Mo scriv in italien
Che tutti lo comprendono
E tè t’ giriss più ben.
Declama il verso italico
Alora t’ fa i baoch”,
Ma un altro sussurravam
“T’ sariss un papaloch.
Saresti tu per credere
Parland a us letered
Che tutti riderebbero
Listess cum pel passed?
Quel frizzi che movevano
Le fodre di giuben
E quei che spalancavano
Le bocch di cuntaden
Quei detti che fiutavansi
Da i nes intabached
Movean le vesti ai medici
Le togh ma i avoched
Seri versi insuperabili
Mo messi in italien
A branchi abbaierebbero
Listess cum bàia i chen”