“Di nuovo vagando nell’antico parco” (Trakl G.)
Il poeta non è snob. O, per meglio dire, non lo è nella misura in cui si crede. È piuttosto la società a dipingerlo così, a relegarlo in una dimensione di alterità che lo separa dagli altri, come se l’arte di plasmare le parole fosse un privilegio riservato a pochi eletti.
La verità, tuttavia, è più complessa. Il poeta è spesso colui che si sente estraneo al mondo, non perché si consideri superiore, ma perché il suo sguardo è inevitabilmente rivolto altrove, verso profondità che non tutti sono disposti ad esplorare.
Nel XIX secolo, Arthur Rimbaud incarna questa tensione tra eccezionalità e isolamento. Poeta maledetto per eccellenza, adolescente geniale che rivoluziona la poesia con la sua Lettera del veggente, Rimbaud comprende che il poeta deve “diventare veggente attraverso un lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi.” Un processo che lo porta a bruciare rapidamente il proprio talento, abbandonando la poesia a soli ventuno anni, come se l’intensità dell’ispirazione fosse insostenibile.
MALE
Baudelaire, il grande alchimista del male, esplora la stessa condizione in I fiori del male, denunciando il peso di un mondo che respinge la sensibilità poetica. L’albatros, con la sua immagine dell’uccello maestoso che, una volta a terra, diventa goffo e inerme, è la metafora perfetta del poeta: creatura destinata a volare in spazi inaccessibili, ma condannata alla derisione quando tenta di camminare tra gli uomini.
ANIMA
Questa distanza tra il poeta e la società assume toni ancora più cupi in figure come Georg Trakl, la cui esistenza si consuma tra solitudine e angoscia. La sua poesia è intrisa di visioni malinconiche, di un dolore che non trova consolazione.
SILENZIO
Il poeta autentico non è snob: è, piuttosto, un individuo che ascolta il silenzio, che si lascia attraversare dalla parola prima ancora di darle forma. Se a volte sembra distante, è perché la poesia impone una disciplina interiore, una dedizione che non tutti comprendono. Il vero snobismo non appartiene al poeta, ma a chi ne veste i panni senza sentirne il peso, a chi gioca con le parole senza obbedire al loro richiamo profondo.
In un’epoca che celebra la velocità e la superficialità, il poeta resta una figura scomoda. Non perché si ritenga superiore, ma perché è chiamato a vedere ciò che altri ignorano, a dare voce a ciò che resta inespresso. E questo, più che un privilegio, è un destino.