L’Urlo che ha sconquassato il mondo poetico americano (e non solo).
La grandissima Flannery ‘O Connor si rifiutava di immergersi nel mondo della Beat Generation perché, a suo dire, offriva una poesia falsa e “adolescenziale”. Una poesia immatura, senza impegno né vera ricerca della verità; nonché una letteratura confinata in un alone di santità becera, puntualmente proclamata e non conclamata.
I suoi artisti – sempre secondo Flannery ‘O Connor – si perdevano nel materialismo, nella prigione dei sensi. Come poteva esserci Santità, così futile e inutile?
Il riferimento era forse a Urlo, opera spartiacque di Allen Ginsberg (1926 – 1997):
“Il mondo è santo! L’ anima è santa! La pelle è santa! Il naso è santo! La lingua è cazzo e mano e buco del culo santi!”
Ma Ginsberg sfiorava la follia di una generazione impazzita, dalla pazzia distrutta, “con sogni, con droghe, con incubi a occhi aperti, alcol e cazzo e balle-sballo senza fine” e più che autocelebrarsi si proclamava quasi fra i pazzi, e con interpretazione isterica urlava la poesia con ritmo straordinario.
Ma trascurando l’impegno vero del più grande e tipico dei Beat, Jack Kerouac; trascurando la vera anima Beat, Neil Cassady: forse il severo giudizio di ‘O Connor (che la follia aveva vissuto, caduta nell’ abisso della Fede, cattolica praticante) per quanto apparentemente azzeccato, avrebbe avuto più senso se, al di là di quanto sentito, o quanto spulciato fra pagine di letteratura, avesse davvero letto i poeti Beat, a cominciare proprio da Ginsberg.
URLO di Ginsberg è legato indissolubilmente a Kaddish – per forma, ritmo, declamazione. Ma mentre del primo lavoro abbiamo ancora oggi intatta la forza dirompente di un performance intricata, scandalosa e indimenticabile, nel secondo conosciamo un lamento funebre: un parossistico inno alla vita e alla morte. Kaddish è dedicato alla madre, morta in manicomio. Fin dai primi versi, rivolti a Naomi Ginsberg, struggenti e duri come carezza gelida, si evince proprio quel cosiddetto “impegno” (costretto invero da un drammatico evento) che a ‘O Connor sfuggiva.
Non vi sono equivoci, in Kaddish, sproloqui, paradigmi di esaltati; non vi sono spartiti poetici da urlare al mondo (e soprattutto in mezzo a un pubblico); non vi è un poeta che si prodiga a “fare” il poeta – c’è un Ginsberg figlio che tramite la poesia canta un mondo orbitante alla percezione del dolore e al terrore della morte: c’è un lutto. Col cuore spezzato Ginsberg vaga per la metropoli con a fianco il fantasma della madre perduta e drammaticamente riconosciuta fra innumeri strade. L’urlo c’è ancora ma è silenzioso, non è allucinato ma stentato; e non c’è tempo per un abbraccio. Tutta la vita è confessata da Ginsberg, tutto quel che egli poteva in Kaddish; una vita sempre fragile e indifesa, abbruttita dal dolore di un amore primigenio perduto per sempre, ma dal lamento poetico resuscitata e riscattata.
L’edizione del Saggiatore presenta Urlo/Kaddish splendidamente tradotto da Luca Fontana e con prefazione di Furio Colombo. È un libro che non lascia fiato e brucia le immagini sognanti evocati da Walt Whitman; ed è una stupenda lettura.
Urlo/Kaddish
Di Allen Ginsberg
Edizioni Il Saggiatore
Pag. 142, €13