Altra notizia recente (e triste, per quanto mi riguarda) l’ho appresa dal bel notiziario fantasy magazine. Poi, con altre fonti a disposizione, ho tratto alcune conclusioni. A quanto pare laBuena Vista Home Entertainment, ramo di distribuzione del colosso Disney, ha deciso di non distribuire più i film del maestro dell’animazione Miyazaki Hayao. Per i fan italiani in particolare è un colpo duro, giacché nei tempi recenti s’era finalmente aperta la speranza concreta di vedere distribuiti tutti i film ancora inediti di uno dei maggiori animatori di sempre, fra cui quel prestigiosoPorco Rossoche altrove, per esempio in Francia, è stato un successo clamoroso – manco a dirlo, anche per farvi arrabbiare, questo titolo è un chiaro appassionato omaggio all’Italia. Miyazaki da noi è vezzeggiato, ha ricevuto riconoscimenti importanti; ma nei fatti questa ammirazione soffre di troppe lacune, e ogni uscita dei suoi importanti lavori è preceduta da incertezze sulla loro stessa visibilità. D’altronde molti hanno potuto constatare che anche con Il castello errante di Howl, per quanto pubblicizzato, s’è ravvisato un grave vuoto nella sua distribuzione e proiezione: personalmente ho potuto ammirare l’opera nella stanza più ristretta di un minuscolo cinema multisala; lo schermo era grande come quello di casa mia. Anzi, forse più piccolo.
La Buena Vista ha giocato con questo problema anche in terra americana, in particolare durante la distribuzione deLa città Incantata, che valse al Maestro il premio Oscar. La distribuzione fu minima e l’incasso quasi irrilevante; nello stesso periodo circolava infattiLilo e Stitch, anch’esso in lizza per il premio dell’Academy, e i piani della Disney non potevano certo venire guastati da un’opera giapponese, benché a ragione di molti possa essere definito un capolavoro.
La contraddizione è purtroppo molto evidente con un Autore che sta rappresentando più di ogni altro la grande scuola d’animazione giapponese (da noi distinta col termineanimé) e che pure uno dei grandi capoccia della Dreamworks ebbe a definire, magari con un po’ di sana invidia, “scuola del mondo”; nondimeno Miyazaki è la punta di un iceberg parecchio grosso e meraviglioso, quel ricchissimo mondo d’animazione che tiene testa ai colossi americani, sovente melensi (senza nulla togliere ai grandi film che riescono ancora a ideare). Mi viene in mente Oshii Mamoru, che spero un giorno di affrontare in modo più approfondito, o perfino Otomo Katsuhiro, papà diAkira. Per questi e tanti altri maestri la distribuzione è pressoché inesistente. Ancora ricordo la delusione diCowboy Bebop – Il filmdi Watanabe Shinichiro, che nella mia città non ha nemmeno sfiorato una sala cinematografica (compresa quella dallo schermo minuscolo).
L’animé soffre da noi di fraintendimenti e pregiudizi duri a morire. Chi ne è appassionato sa bene di cosa parlo: l’animazione, se non èper grandi e piccini, è qualcosa di vago e approssimativo, qualcosa di cui diffidare o, peggio ancora, censurare. Ma c’è dell’altro, qualcosa di più profondo. Miyakazi è sicuramente uno di quei Maestri capaci di provare la magia dell’arte dell’animazione, ma anche la loro drammaticità; il ritratto della profonda ricchezza umana che è tipica del grande cinema. E forse non abbiamo più immaginazione sufficiente da credere in questo messaggio complesso e meraviglioso. Lessi qualche tempo fa la recensione che il pluripremiato critico Tullio Kezich fece delCastello errante di Howl, preferendoviLa principessa Mononokeanche perché, a suo dire, con l’ultimo lavoro Miyazaki si discosta dalla tradizione nipponica a favore di un adeguamento ai gusti occidentali. E’ la dimostrazione delle lacune che anche i critici più apprezzati palesano in materia. Come dimenticarci diHeidi, deIl Gatto con gli Stivali, diConan, diKiki’s Delivery Servicee soprattutto diPorco Rosso, omaggio a un Paese che il Nostro ammira sinceramente per la sua ricchezza regionale e caratteristica? E sempre riguardo ai riferimenti occidentali, perfinoNausicaa- ritenuto da molti il suo vertice – vive nella fascinazione di un pensiero occidentale, con vaghi riferimenti cristologici.
Da parlare ce ne sarebbe a iosa. Il problema di fondo, il problema della riottosità che addirittura rifiuta una gallina dalle uova d’oro com’è lo Studio Ghibli ignorando la cultura degli animé, che avvince ormai tre generazioni, è anche l’ignoranza. Una povertà di vedute quale solo la gioia della fantasia può, appunto, rimediare.