Nella bella e dettagliata prefazione, il poeta argentino Rodolfo Wilcock racconta la genesi di questo piccolo gioiello edito – ovviamente – da Adelphi e ora alla sua ultima ristampa. Il maestro Gustav Flaubert morì in piena e fertile attività, lasciando una mole enorme di appunti e scritti che, come specificato dal figliastro Guy de Maupassant, era per larga parte da sopprimere e il resto da ordinare.
Da qui una vicenda editoriale – e quasi filologica – assai curiosa, se non altro perché il Dizionario fu appuntato e sviluppato da Flaubert col suo vicino di campagna, tal Jules Duplan, col quale il Nostro dibatteva animatamente circa la sostanza delle parole ripescate per il progetto. Flaubert era in effetti Flaubert – non poteva che lasciare la sua impronta flaubertiana nei suoi pensieri, vergare piccole massime, sfiorare temi assoluti nonostante il fine umorismo puntualmente trapelato; il suo collaboratore era altrettanto umoristico, bravo nelle sue appendici letterarie, ma non altrettanto flaubertiano, e a ragion veduta.
Al di là di un minimo dibattito, nondimeno, il testo ci perviene fondamentalmente integro ed è un vero godimento: si può leggere per vezzo, o per imparare le genialità del genio francese. Si può leggere anche solo per godere di un’ironia che sempre traspare, ma mai messa in evidenza, mai raccontata bensì percepita. E questo gioco di perfezione, di non detto, del tutto detto con intromissione del narratore onnisciente qual era irresistibilmente Flaubert, è caratteristica di una grande letteratura o della fattura di un genio.
C’è poco altro da aggiungere: alla fine del Dizionario troviamo L’album della Marchesa, collezione di vari interventi su variegati temi affrontati da una immaginaria donna aristocratica che a suo modo declina la funzione del Dizionario, ma con un frasario chic e civettuolo e altrettanto divertente.
Il libriccino è delizioso come un bacio.
E un bacio, secondo il Dizionario, è un dolce furto.
Dizionario dei luoghi comuni
Di Gustave Flaubert
Ed. Adelphi
Pag. 132, €12