Tutta colpa della POESIA?

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“Ode al pomodoro.”

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Nella cantina del Bardo, dove abbiamo tenuto la serata conviviale fra vino, leccornie, poesia. Un appuntamento periodico.

La serata poetica e conviviale trascorsa ieri sera presso la Enolibreria Del Bardo, gestita dal poeta Serse Cardellini con straordinaria cura, è stata avvolgente e stupenda. Gli invitati della serata ci hanno raccontato gli anni italiani del grande Pablo Neruda e hanno letto – sia in lingua originale che in inglese – alcune sue celebri poesie a confermare l’amore del poeta cileno per il nostro Paese.

I sogni dei poeti

Fra i vari invitati, oltre a Cardellini, c’erano poeti pesaresi. Uno dei quali ha letto alcuni suoi versi interpretati con voce coinvolgente e un verace talento interpretativo, capace di raccogliere l’ascolto dei commensali e intensificare la bella partecipazione del momento.

Lo stesso poeta era in fondo amareggiato, tuttavia, nel notare che solo riunendosi a un tavolo, in un nucleo intimo di appassionati di libri e poesia – e da essa ripartendo, dalla cultura ch’essa porta – si può davvero sperare in una vita migliore, in una comunità che raccoglie la poesia come testimonianza di bellezza, e nella bellezza raccogliere l’ispirazione per meglio vivere e riesaminare la società.

Da una piccola utopia a una grande utopia, ho pensato, e fermo restando un sogno romantico e piacevole a dirsi.

Poesia e bellezza

Nei fatti, tuttavia, la poesia è il più grande monito per la bellezza ma anche il problema maggiore per se stessa: si incastra nella retorica della disciplina, dell’esercizio, del mestiere: essere poeti costringe oggi a fare il poeta, a proporsi bene a un pubblico (grande o piccolo, ma accorto sempre) a partire sempre dalle giuste parole incise sul bianco del foglio, con raro equilibrio fra sentimento e ragione – e se tutto ciò è un compromesso che non viene accettato, io poeta non riesce a comunicare al propria poesia né a far apprezzare il proprio talento.

La poesia inoltre nasconde un problema più profondo: cerca il coinvolgimento con l’altro da sé. E se questi nel frattempo è coinvolto come tutti nella disputa quotidiana far se stesso e la frenesia dispotica del mondo, inevitabilmente rigetterà il coinvolgimento emotivo al cuore della poesia: perché non ha tempo. Non ha tempo di mettersi in gioco, perché è scomodo. Non può subire e vivere d’un tratto la messa in discussione di se stessa.

Il poeta – sognatore perché maestro di vita mancato – accetta solo se stesso e la propria libertà. E si dice che la libertà propria termina quando inizia quella altrui.

Poesia o vanità?

La poesia è un fatto personale? Perché dunque coinvolgere gli altri – i lettori? La poesia pare sempre decontestualizzata e fuori tempo, come un atto sommo e sofisticato di vanità. Oppure non viene compresa, non avendo il fascino di una storia da narrare?

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Il rapporto con gli altri – nella nostra solitudine rassicurata da un individualismo estremo – è già di per sé difficile quanto necessario, come può essere l’amore. In effetti pare che la poesia non gradisca l’amor proprio che le nasconde la bellezza, sostituendola col vanto.

La poesia di Pablo Neruda era talmente bella – e nella lettura in lingua originale sembrava palpabile come un caldo respiro – era talmente geniale che la sua lettura pareva una introduzione alla preghiera; era piacevole, era condivisione ammirata. Ciò la distingue

L’unica speranza della poesia di oggi di raccontar la bellezza è di rifarsi ai luoghi comuni dei sentimentalismi.

Ma così facendo la sua bellezza si nega a se stessa.

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