“Non
so quale nuovo rigore m’abbia portato a voi, case del terreno nero.
La stesura dei campi vi spinge sul limite dei viali appena
inalberati. Tra i cespugli torti le case s’innalzano violente. Rompe
il numero un fuoco d’erbe accese.
Ha
le dita prese dal fastidio la luna, piena la notte, incomoda giù per
i balconi nuovi. È tremante il quartiere d’ingiuria. La collina
sciupa il nodo del sole.” (Diario
ottuso, pag. 13)
Amelia Rosselli (1930
– 1996) passeggia per le strade di Firenze. Si guarda attorno. Un
pensiero inestricabile le grava nella mente, come un quesito non
ancora del tutto formulato e con la consapevolezza di una risposta
ancor più remota e quasi impossibile da ottenere. Così – carta e
penna a portata di mano – scrive: esercita la sua prosa, le sue
incerte parole italiane, dando con esse una forma poetica nuova, una
soluzione fra scrittura poetica e poesia vera e propria, che
attendeva. Si ispira a Dino Campana, di cui al contempo rifugge la
forte influenza.
Le parole, scaturite da
un luogo misterioso della sua esistenza, la aiutano a vivere.
Eventi tristi avevano marchiato la sua vita: l’uccisione del padre e
dello zio (gli attivisti e antifascisti Carlo e Nello Rosselli),
nonché la morte della madre per un grave male nel 1946. Su di lei,
l’ombra della malattia di Parkinson e una forma di schizofrenia che
ha sempre rinnegato. Nella sua fragilità ed eccezionale sensibilità
ha assorbito molti suoni del mondo per assolvere il compito di
sintetizzare, in un linguaggio universale, tutte le note che
comprendeva, fra esse contrapposte, non per giungere a una musica, ma
alla poesia.
Nota contro nota (punctus
contra punctum) combinano un insieme melodico apprezzabile ma
misterioso, sfuggente e mai completamente ascrivibile alle leggi
della notazione: si insinuano nell’animo umano e per paradosso
dall’animo vengono scaturiti. Una sintesi universale di una stagione
di suoni, di una vita che una grande poetessa come Rosselli può
captare e comprendere, ma mai pienamente. La poesia di Rosselli (che
è stata in primo luogo etnomusicologa fra gli anni Quaranta e
Cinquanta) affronta quel linguaggio, a lei necessario e inevitabile
per capire le cose e i luoghi dell’esistere: vi rispecchia la sua
vita da apolide (prima Parigi, poi Svizzera e Stati Uniti; infine
Londra dove terminò gli studi) e una multi-lingua impartitale dal
continuo vagabondare. Questo libro, questo Diario Ottusoedito dai
tipi di Empirìanella collana di narrativa espone una
diagnosi oggettivata della sua anima, nella sua vita fra quotidiane
e oniriche banalità. Preziose parole entrano ed escono, in
un rischioso esercizio nel trovare in esse un riflesso di sé, forse
ingannando il tempo:
“Partì senza dire a nessuno perché partiva: partiva, ed obbediente agli altri nel partire, essi che preferivano che lei partisse. Partì, e fu come togliersi la giacca, tutta indaffarata nel partire,e pensare: perché sono partita? perché mi hanno fatto partire? Non so perché sono partita, si disse, e ora non ho nemmeno voglia di partire, pensò partendo.” (pag. 34)
Le cose, Rosselli le vive
senza stabilità. Da esse vuole allontanarsi, con esse rimanere?
Queste preziose
esercitazioni (che quasi prendono la forma di un mini romanzo) sono
forse alla base delle sue poesie e sono un prezioso documento, una
auto-testimonianza del suo fare poesia, la cui dimensione
coinvolgente e radicale permane segreta anche all’autrice stessa.
Da qui il Diario
Ottuso.
Diario ottuso
di Amelia Rosselli
Edizioni Empirìa
pag.64, € 14