I figli della notte: 10 poeti e una Musa

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I figli della notte: 10 poeti e una Musa

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La nostra poeta e traduttrice Gloria Sinatra, curatrice fra l’altro del primo volume della collana Fuori tempo dedicato ad Arthur Rimbaud, ci lascia un emozionante dossier sul rapporto fra poesia, notte e ispirazione.

 

Esiste davvero un legame speciale tra le tenebre e il poeta? Da dove scaturisce l’interesse per il buio, il sogno e il fecondo silenzio delle ore notturne descritto da molte tra le penne più profonde e sensibili della poesia di tutti i tempi? Un duplice rapporto, fatto di timore e ammirazione, una sorta di riverente fascinazione da cui nascono le visioni più intense, in cui si gettano le più profonde paure e si guardano in faccia fantasmi e chimere. Il poeta deve di certo molto alla notte: è una zona franca in cui può aver paura della morte, del mondo e di sé stesso. Ed è sempre l’oscurità che talvolta lo salva dai propri demoni e gli svela segreti, spesso inconfessabili.

La notte può diventare viaggio, luogo in cui custodire e coltivare l’amore, in cui salvarsi dalla crudele nitidezza della luce. Sgomento e rifugio, casa dei sogni e dei mondi interiori, la notte si rivela un tempo sospeso in cui mettere a fuoco, dar voce ai propri silenzi, vedere oltre i colori l’essenza primigenia. Discendere nell’oscurità per rimettersi in sesto, per comprendere meglio ciò che vale la pena salvare del giorno offre al poeta l’occasione di andare oltre, di “sentire” in pace, senza l’assillo degli stimoli diurni. Fluttuando tra quiete e abisso, tra morte e resurrezione, il poetare intriso dei fumi della notte porta con sé verità disilluse e potenti per donarle ai raggi del nuovo sole.

Il sonno

La notte sembra essere per molti poeti una sorta di culla di vetro, una casa dove non si può fingere perché, paradossalmente, mentre l’uomo comune ci si può nascondere, il mondo del sogno è l’unico in cui il poeta non può fare a meno di vedersi così com’è. La luna è lo specchio e la lente dei poeti alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa che possa dare un senso all’essere poeta, al vedere e sentire cose di cui nessun altro sembra accorgersi. Alcuni lo trovano dentro, altri fuori, altri ancora si perdono col lume in mano.

Qui di seguito, 10 voci di poeti francofoni cantano le proprie notti, regalando a chi legge una sbirciata dalla serratura dei propri universi onirici. Proverò con la mia traduzione ad accompagnarli, venite con me? Buone notti a voi.

 

Il sonno nell’angoscia

Bisogna dormire

Tutto dorme

Bisogna soffrire

La morte.

Bisogna soffrire la morte

Il giorno è morto

Dorme

Il cielo d’oro

Dorme dorme dorme dorme dorme dorme dorme!

Non un’accusa

Non un sospiro

Non una paura

A soffocare

Il porto

Dorme dorme

Il porto d’oro

Dorme dorme

Più nulla

Male e bene

Arrivo

Dormo

Tutto è morto

Dormo

Tutto è morto

Dormo

Tutto è morto

Dormo.

(Paul Claudel)

Le sommeil dans le chagrin

Il faut dormir

Tout dort

Il faut souffrir

La mort.

Il faut souffrir la mort

Le jour est mort

Dors

Le ciel en or

Dort dort dort dort dort dort dort !

Plus une plainte !

Plus un souffle

Plus une crainte
Que n’étouffe

Le port
Dors dors


Le port d’or
Dors dors

Plus rien

Mal et bien

Tout est bien

Je viens

Je dors
Tout est mort

Je dors
Tout est mort

Je dors
Tout est mort

Je dors.

(Paul Claudel)

Il cercatore dorme

Galletto delle rocce si leva dalle montagne Rocciose

Il tuo grido di roccia in roccia,

svegliando nelle umide alcove le cercatrici

le cercatrici d’oro, gallo!

Cercate le foglie d’oro e le lame di sabbia

E la lama del vomere

La schiuma sanguinante in cui oscilla la barca

Sulla cresta del gallo.

L’adolescente attraversa, fin dall’alba scellerata,

Sogna, i tuoi corridoi

E più che nel letto del Tigri e dell’Eufrate

Trova lingotti d’oro.

Muore per addormentarsi sotto il sole delle febbri,

e si sveglia morto…

Cercatrici d’oro, mettete il dito sulle labbra

Shh! Il cercatore dorme.

(Jean Cocteau)

Le chercheur dort

Coq de roche il éclate aux montagnes Rocheuses

Ton cri de roc en roc,

Éveillant dans leur couche humide les chercheuses,

Les chercheuses d’or, coq !

 

Cherchez les feuilles d’or et les lames de sabre

Et les lames de soc,

Dans l’écume sanglante où le bateau se cabre

À la crête de coq.

 

L’adolescent parcourt, dès l’aube scélérate,

Rêve, tes corridors ;

Et mieux que dans le lit du Tigre et de l’Euphrate

Trouve des lingots d’or.

 

Il meurt pour s’endormir sous le soleil des fièvres,

Et se réveille mort…

Chercheuses d’or mettez votre doigt sur vos lèvres :

Halte ! Le chercheur dort.

(Jean Cocteau)

Ballata della notte d’eclissi

Fortuna Sfortuna Fortuna Sfortuna Fortuna…

Iscrizione continua

intorno alla tomba di Margherita d’Austria

Fortuna Sfortuna

Fortuna Sfortuna.

I lemuri correvano di fianco al treno notturno,

Quella notte, quella dell’eclissi totale di luna

Quando eravamo duecento viaggiatori solitari

Tra due città capitali; eppure così soli

Da non saper più se le nostre due città principali

Siano Fortuna e Sfortuna,

se abbiamo lasciato Sfortuna o Fortuna

e delle due quale sia l’altra

che ci attende alla sua stazione d’alba.

Fortuna Sfortuna,

Fortuna Sfortuna,

I lemuri scandivano con entrambi i nomi

Il galoppo dei vagoni mangiatori di eclissi.

Era forse Parigi-Roma o Fortuna-Sfortuna,

L’espresso,

e i suoi scompartimenti pieni per un quarto,

a lavorare a grande-lenta velocità

nel tempo mutato del mondo delle eclissi?

Giornali morti svolazzavano sui ginocchi

Viaggiatori cessavano di censire i loro giorni

Poiché i lemuri, per i quali era notte d’uscita,

battevano a ruota tremendi incanti sui tamburi,

Fortuna Sfortuna,

Fortuna Sfortuna,

C’era già paura sulla luna

A prora, un avvicinarsi allo zenith senza nuvola,

E come in mare per l’esercizio del naufragio

I viaggiatori raggiunsero il corridoio di prora.

Fianco a fianco, ben distanziati dalla decenza,

ben incasellati nella regola d’oro del silenzio

addossati come condannati al muro

per vedere decapitata la sultana la luna,

guardavamo in cielo l’ombra mangiare la luna.

E se Cesare fosse morto o se il pianeta

Avesse fatto il gran gesto di sopprimersi per nascere?

E i lemuri battevano più forte

I loro ciclici tam-tam dove roteavano gli incanti,

Fortuna Sfortuna

Fortuna Sfortuna

E la luna morì come si muore per rivivere

Forse,

La notte passò come si deve pur passare, è vivere

Forse.

Duecento viaggiatori solitari sposati da un’eclissi

Divorziati ritornando al loro posto, ai loro giornali tristi.

Fortuna Sfortuna,

Fortuna Sfortuna

Fortuna

Fortuna.

Un marciapiede rallentava lungo il corridoio vuoto

Come tra rosso e nero la pallina della fortuna

La ruota stenta tra Fortuna e Sfortuna

A fermarsi.

Ma nella grigia aurora un arcangelo croupier

O capostazione e capo-certezza

E una voce discesa dalla luna

E l’editto luminoso in lettere maiuscole

Sui muri della città, e il canto dei lemuri

Giudicarono: SFORTUNA.

(Marcel Thiry)

 

Ballade de la nuit d’éclipse

Fortune
Infortune
Fortune
Infortune.

Les lémures couraient le long du train nocturne,

Cette nuit-là d’éclipsé totale de lune

Où nous étions deux cents voyageurs tous tout seuls

Entre deux villes capitales ; mais si seuls

Que nous ne savions plus si nos deux villes pôles

Étaient
Fortune et
Infortune,

Si nous avions quitté
Infortune ou
Fortune

Et d’elles deux laquelle serait l’autre

Qui nous attendrait dans sa gare d’aube.

Fortune
Infortune,

Fortune
Infortune,

Les lémures scandaient par les deux noms couplés

Le galop des wagons avaleurs des éclisses.

Si c’était
Paris-Rome ou
Fortune-Infortune,

L’express,

Et ses compartiments au quart peuplés,

Qui travaillait de toute sa lente vitesse

Dans le temps modifié du monde des éclipses ?
Des journaux morts flottaient sur les genoux,
Des voyageurs cessaient de recenser leurs jours.
Car les lémures, dont c’était nuit de sortie,
Faisaient rouler des sorts graves sur leurs tambours,
Fortune
Infortune,
Fortune
Infortune.

Il y avait déjà la crainte sur la lune

À bâbord, une approche au zénith sans nuage,

Et comme en mer pour l’exercice de naufrage

Les voyageurs gagnèrent le couloir bâbord.

Côte à côte, bien espacés par nos décences.

Bien cloisonnés par la règle d’or des silences,

Adossés comme des condamnés à leur mur

Pour voir décapiter la sultane la lune,

Nous regardions au ciel l’ombre manger la lune.

Si
César allait mourir, ou si la planète

Faisait le grand signal de s’abolir pour naître ?

Et les lémures martelaient plus fort

Leur rond tam-tam où tournoyaient les sorts,

Fortune
Infortune

Fortune
Infortune.

Et la lune mourut comme on meurt pour revivre

Peut-être,

La nuit passa comme il faut bien passer, c’est vivre

Peut-être.

Deux cents voyageurs seuls mariés par une éclipse
Démariés regagnant leur coin, leur journal triste.

Fortune
Infortune,
Fortune
Infortune

Fortune

Fortune.

Un quai ralentissait le long du couloir vide.

Comme entre rouge et noir la bille de fortune,

La roue hésite entre
Fortune et
Infortune

À s’arrêter.

Mais dans la grise aurore un archange croupier

Ou chef de gare et de la certitude

Et une voix descendue de la lune

Et l’édit lumineux en lettres majuscules

Sur les murs de la ville, et le chœur des lémures,

Jugèrent : infortune.

(Marcel Thiry)

 

Nella notte

Nella notte

Nella notte

Mi sono unito alla notte

Alla notte senza limiti

Alla notte.

Mia, bella, mia.

Notte

Notte di nascita

Che mi riempi del mio grido

Delle mie spighe

Tu che m’invadi

Che ondeggi ondeggi

Ondeggi tutt’intorno

E fumi, sei così densa

E muggisci

Sei la notte.

Notte che giace, Notte inesorabile,

E la sua baraonda, e la sua riva,

la sua riva in cima, la sua riva ovunque,

la sua riva beve, il suo peso è sovrano, e tutto si piega sotto di lei.

Sotto di lei, più sottile di un filo

Sotto la notte

La Notte.

(Henri Michaux)

Dans la nuit

Dans la nuit

Dans la nuit

Je me suis uni à la nuit

À la nuit sans limites

À la nuit.

 

Mienne, belle, mienne.

 

Nuit

Nuit de naissance

Qui m’emplit de mon cri

De mes épis.

Toi qui m’envahis

Qui fais houle houle

Qui fais houle tout autour

Et fume, es fort dense

Et mugis

Es la nuit.

Nuit qui gît, nuit implacable.

Et sa fanfare, et sa plage,

Sa plage en haut, sa plage partout,

Sa plage boit, son poids est roi, et tout ploie sous lui

Sous lui, sous plus ténu qu’un fil,

Sous la nuit

La Nuit.

(Henri Michaux)

 

Gli spazi del sonno

Nella notte ci sono per natura le sette meraviglie del mondo e la grandezza e il tragico e il fascino. Le foreste vi si urtano confusamente con le creature leggendarie e nascoste nella boscaglia.

Ci sei tu.

Nella notte c’è il passo di chi passeggia e dell’assassino e del poliziotto e la luce del riverbero e quella della lanterna del rigattiere.

Ci sei tu.

Nella notte passano i treni e le barche e il miraggio dei paesi dov’è giorno. Gli ultimi sospiri del crepuscolo e i primi brividi dell’alba.

Ci sei tu.

Una melodia al pianoforte, lo scoppio di una voce.

Una porta sbatte. Un’orologio.

E non soltanto gli esseri e le cose e i rumori materiali.

Ma pure io che mi inseguo o sempre mi sorpasso.

Ci sei tu l’immolata, tu che aspetti.

Talvolta strane figure nascono nell’istante del sonno e

poi svaniscono.

Quando chiudo gli occhi, fioriture fosforescenti

appaiono e appassiscono e rinascono come

carnosi fuochi d’artificio.

Terre sconosciute che attraverso in compagnia di

creature.

Ci sei forse tu, oh bella e silenziosa spia.

E l’anima tangibile dell’entità.

E i profumi del cielo e delle stelle e il canto del gallo

di 2000 anni fa e il grido del pavone nei parchi in

fiamme e i baci.

E mani che sinistramente si stringono in una pallida

luce e delle ruote che cigolano su strade

seducenti.

Ci sei forse te che non conosco, che invece conosco.

Ma che, presente nei miei sogni, s’ostina

a farsi indovinare senza svelarsi.

Tu che resti sfuggente nella realtà e nel sogno.

Tu che mi appartieni in virtù della mia volontà di possederti

nell’illusione ma che soltanto accosti il tuo viso al mio

coi miei occhi chiusi al sogno e alla realtà.

Tu che a dispetto di una facile retorica in cui l’onda muore

sulle rive,

la cornacchia vola sulle fabbriche in rovina,

il bosco marcisce scricchiolando sotto un sole di piombo,

tu che sei le fondamenta dei miei sogni e che sostieni il mio spirito

pieno di metamorfosi e che mi lasci il guanto

quando ti bacio la mano.

Nella notte, ci sono le stelle e i movimenti oscuri

del mare, dei fiumi, delle foreste, delle città, delle erbe,

dei polmoni di milioni e milioni di esseri.

Nella notte ci sono le meraviglie del mondo.

Nella notte, non ci sono angeli guardiani ma c’è

il sonno.

Nella notte ci sei tu.

E anche nel giorno.

(Robert Desnos)

 

Les espaces du sommeil

Dans la nuit il y a naturellement les sept merveilles
du monde et la grandeur et le tragique et le charme.
Les forêts s’y heurtent confusément
avec des créatures de légende cachées dans les fourrés.
Il y a toi.

Dans la nuit il y a le pas du promeneur
et celui de l’assassin et celui du sergent de ville
et la lumière du réverbère
et celle de la lanterne du chiffonnier.
Il y a toi.

Dans la nuit passent les trains et les bateaux
et le mirage des pays où il fait jour.
Les derniers souffles du crépuscule
et les premiers frissons de l’aube.
Il y a toi.

Un air de piano, un éclat de voix.
Une porte claque. Un horloge.
Et pas seulement les êtres et les choses et les bruits matériels.
Mais encore moi qui me poursuis ou sans cesse me dépasse.
Il y a toi l’immolée, toi que j’attends.

Parfois d’étranges figures naissent
à l’instant du sommeil et disparaissent.
Quand je ferme les yeux,
des floraisons phosphorescentes apparaissent
et se fanent et renaissent comme des feux d’artifice charnus.
Des pays inconnus que je parcours en compagnie de créatures.
Il y a toi sans doute, ô belle et discrète espionne.

Et l’âme palpable de l’étendue.
Et les parfums du ciel et des étoiles
et le chant du coq d’il y a 2,000 ans
et le cri du paon dans des parcs en flamme et des baisers.

Des mains qui se serrent sinistrement dans une lumière blafarde
et des essieux qui grincent sur des routes médusantes.
Il y a toi sans doute que je ne connais pas,
que je connais au contraire.

Mais qui, présente dans mes rêves,
t’obstines à s’y laisser deviner sans y paraître.
Toi qui restes insaisissable
dans la réalité et dans le rêve.

Toi qui m’appartiens de par ma volonté
de te posséder en illusion
mais qui n’approches ton visage du mien
que mes yeux clos aussi bien au rêve qu’à la réalité.

Toi qu’en dépit d’un rhétorique facile
où le flot meurt sur les plages,
où la corneille vole dans des usines en ruines,
où le bois pourrit en craquant sous un soleil de plomb.

Toi qui es à la base de mes rêves
et qui secoues mon esprit plein de métamorphoses
et qui me laisses ton gant quand je baise ta main.
Dans la nuit il y a les étoiles
et le mouvement ténébreux de la mer,
des fleuves, des forêts, des villes, des herbes,
des poumons de millions et millions d’êtres.

Dans la nuit il y a les merveilles du mondes.
Dans la nuit il n’y a pas d’anges gardiens
mais il y a le sommeil.
Dans la nuit il y a toi.

Dans le jour aussi.

(Robert Desnos)

 

Nenia

Non parlate più delle pianure con tale tenerezza

Non parlate più delle nevi, non parlate più del cuore

Lasciate che si scaldino i vini velenosi

tra le palme della vita,

non parlate più di mari agitando il cuore,

non parlate più di fiumi, lasciate che vi si secchino le labbra

e che si ghiacci il sangue di vecchi desideri

tra le vostre fauci di morte,

non parlate più del cielo battendo le labbra

non parlate più del vento, lasciate che la notte si gonfi

lasciate la notte gonfiarsi dei vostri respiri

dai fori delle vostre narici,

non parlate più del fuoco della vostra voce di schiavi,

non parlate più del vostro re, l’antico sole,

lasciatelo tramontare e spegnersi in melma nera,

nella vita curva dei vostri crani.

Non parlate più del cuore!

La vostra lingua è marcia e il respiro freddo,

i vostri sguardi vuoti guardano la notte,

mondi morti in coppia vi riempiono gli occhi,

non parlate più nell’aria degli uomini.

Provate soltanto a sorridere,

sentirete gemere tutte le ossa bruciate,

il riso si propagherà in un cielo rattoppato,

e la tela del mondo avrà sordi singhiozzi.

La musica dei morti vi singhiozzerà tra i denti

provate a sorridere ai fiori! –

I vostri piedi freddi sono saldati alla terra senz’occhi,

guardate ovunque dalle vostre mille prugne

ma nessuno vi vede gli occhi e i vostri occhi non vedono nulla.

Il riso scoppierà nelle vostre sonore teste

provate a ridere agli uccelli! –

Le mani vi si sfalderanno in un odore di gesso,

ridete al cassonetto e ridete allo scopino.

Lo spazio stesso muore con le scintille

Che avete gettato al vento della vita, e il tempo muore

fermando i vostri vani sorrisi,

congelando i vostri singhiozzi

e pian piano vi congelate nelle torbiere.

Un sole sconosciuto brilla nella polvere

che vi vola intorno ai capelli asciugati,

il vento della follia vi porta alle orecchie

una musica amara che vi rompe i denti

fiumi che risalgono alle loro sorgenti sgorgano

e la terra che vi porta ha bagliori di zolfo

vi si allarga sotto i piedi e vi morde le caviglie

La vostra risata ha creato nuove stelle

Che noi non vedremo,

e potete sorridere a nuovi uccelli

a fiori impossibili,

ma vivete dietro un muro di carbone

e i nostri occhi sanguinano, le nostre prugne si spezzano

quando vogliamo guardarvi

quando vogliamo guardarvi con sguardi vuoti,

quando non vogliamo più ridere

né singhiozzare nel ventre celeste,

le braccia girano scricchiolando in stanza di piombo.

La notte della verità ci toglie le parole.

(Réné Daumal)

 

Nénie

Ne parlez plus des plaines avec cette tendresse
ne parlez plus des neiges, ne parlez plus du cœur
laissez s’échauffer les vins vénéneux
entre les paumes de la vie,
ne parlez plus des mers en remuant le cœur,
ne parlez plus des fleuves, laissez sécher vos lèvres
et laissez se glacer le sang des vieux désirs
entre vos mâchoires de mort,
ne parlez plus du ciel en palpitant des lèvres,
ne parlez plus du vent, laissez la nuit grossir,
laissez la nuit s’engraisser de vos souffles
auprès des trous de vos narines,
ne parlez plus du feu de votre voix d’esclave,
ne parlez plus de votre roi, l’ancien soleil,
laissez-le se coucher et s’éteindre en boue noire,
dans la vie courbe de vos crânes.

Ne parlez plus du cœur!
Votre langue est pourrie et votre souffle froid,
vos regards vides regardent la nuit,
des mondes morts accouplés emplissent vos yeux,
ne parlez plus dans l’air des hommes.
Essayez seulement de sourire,
vous entendrez gémir tous vos os calcinés,
le rire ondulera dans un ciel rapiécé.
et la toile du monde aura des sanglots sourds.
La musique des morts hoquette dans vos dents

essayez de sourire aux fleurs ! —
vos pieds froids sont soudés à la terre sans yeux,
vous regardez partout de vos mille prunelles
mais nul ne voit vos yeux et vos yeux ne voient rien.

Le rire éclatera dans vos têtes sonores
— essayez de sourire aux oiseaux ! —
vos mains s’écailleront dans une odeur de plâtre,
riez à la poubelle et riez au balai.
L’espace même meurt avec les étincelles
que vous jetiez au vent de vie, et le temps meurt
en arrêtant vos vains sourires,
en figeant vos sanglots,
et vous gelez tout doucement dans les tourbières.

Un soleil inconnu brille dans la poussière
qui vole tout autour de vos cheveux séchés,
les vents de la folie portent à vos oreilles
une musique amère à vous briser les dents.
Des fleuves remontant à leurs sources jaillissent
de vos mains disloquées, de vos tempes trouées
et le sol qui vous porte a des lueurs de soufre,
se creuse sous vos pieds et vous mord aux chevilles.
Votre rire a créé des étoiles nouvelles
que nous ne verrons pas,
et vous pouvez sourire à de nouveaux oiseaux
à des fleurs impossibles,
mais vous vivez derrière un mur de houille
et nos yeux saignent, nos prunelles se fendent
quand nous voulons vous voir
quand nous voulons vous voir avec des regards vides,

quand nous ne voulons plus sourire

ni sangloter dans le ventre céleste,
nos bras tournent grinçants dans les chambres de plomb.

La nuit de vérité nous coupe la parole.

(René Daumal)

*

Nel tempo della notte

Ti parlerò

Nel tempo della notte potrò rispondere a bassa

Voce

L’unico istante che la vita m’ha rubato

Nel tempo della notte ritroverò il tuo viso

E la forma del mio viso

Ti parlerò nel tempo ti parlerò nella notte

Scaccerò finalmente il tremendo dolore del mio silenzio

Scaccerò finalmente i giorni mortali

Ti parlerò fuori dal tempo ti parlerò nella notte

Cancellerò le amare tracce dell’attesa

Cancellerò le amare tracce dell’oblio

Tra le mie due mani aperte ti prenderò il viso

Il tuo unico viso di un unico istante mortale

Ti parlerò fuori dal tempo scaccerò la notte

Riprenderò le parole assolute

Per dirtele finalmente con la mia voce simile

Alla luce.

(Jacques Prevel)

*

Dans le temps dans la nuit


Je te parlerai
Dans le temps dans la nuit je pourrai répondre à
voix basse
Le seul moment que la vie m’a volé
Dans le temps dans la nuit je retrouverai
ton visage
Et la forme de mon visage
Je te parlerai dans le temps je te parlerai dans
la nuit
J’écarterai enfin l’affreuse douleur de mon silence
J’écarterai enfin les jours mortels
Je te parlerai hors du temps je te parlerai dans
la nuit
J’effacerai les traces amères de l’attente
J’effacerai les traces amères de l’oubli
Dans mes deux mains ouvertes je prendrai ton
visage
Ton seul visage d’un seul instant mortel
Je te parlerai hors du temps j’écarterai la nuit
Je reprendrai les mots absolus
Pour te les dires enfin avec ma voix pareille
A la lumière.

*

Dormire con te.

Ascolta il tuono, questo taglialegna, attraversare la notte.

Senti che delirio. Ah! Stringimi tra le tue gambe nude.

Inondami di calore, di luce.

Il temporale alza lenzuola stropicciate. Non sono altro che un uomo nelle braccia della

notte.

Dormire con te.

Nel respirare si aprono sentieri. Un treno di lusso passa nel fieno santo.

Dormire con te.

Io dormo in te. Io dormo sempre in te, più profondamente in te. Io ti abbraccio, tu mi penetri coi denti, con le braccia. Hai il tubare delle colombe. Gli occhi chiusi, vedo i tuoi occhi aperti. Ne nascono torrenti.

Dormire con te.

Non lasciarmi mai solo. Un cavallo mi frulla in testa.

Dormire con te per saziare la vita.

(Jean Malrieu)

 

Dormir avec toi

Dormir avec toi.

 

Écoute le tonnerre, ce bûcheron, traverser la nuit. Entends ce délire. Ah !

Serre-moi dans tes jambes nues. Inonde-moi de chaleur, de lumière. L’orage

monte des draps froissés. Je ne suis qu’un homme dans les bras de la nuit.

 

Dormir avec toi.

 

Dans la respiration s’ouvrent les sentiers. Un train de luxe passe dans le

sainfoin.

 

Dormir avec toi.

 

Je dors en toi. Je dors toujours en toi, plus profondément en toi. Je t’enlace,

tu me pénètres des dents, des bras. Tu as le râle des palombes. Les yeux

fermés, je vois ouverts tes yeux. Y dérivent les rivières.

 

Dormir avec toi

.

Ne me laisse jamais seul. Un cheval tourne dans ma tête.

 

Dormir avec toi pour assouvir la vie.

 

La notte verticale

Che io sia – la palla d’oro scagliata nel Sol Levante.

Che io sia – il pendolo che torna al punto morto per cercare

la verticale notturna del verbo.

Che io sia – l’uno e l’altro piatto della bilancia, il flagello. Il periodo compreso tra i due estremi della scossa universale ossia il battito del cuore che segue colui di cui si può come minimo dubitare e aspettarsi di tutto dal suo ansioso «Fate il vostro gioco».

Lancio almeno una sfida: che io sia la palla al balzo di un istante di libertà.

Lancio un grido – che io sia la palla del suo silenzio.

La mia partenza si chiama sempre, ogni giorno e ogni istante del gran giorno. Il mio ritorno per sempre, eterna verticale notturna, punto morto, identico a sé stesso, che l’altro oltrepassa – sempre.

Ci sono io?

Sempre lo stesso redivivo, colui che viene a dire ancora un altro.

(Stanislas Rodanski)

 

La nuit verticale


Que je sois – la balle d’or lancée dans le Soleil levant.
Que je sois – le pendule qui revient au point mort chercher la verticale nocturne du verbe.
Que je sois – l’un et l’autre plateau de la balance, Ie fléau. La période comprise entre les deux extrêmes de la saccade universelle qui est le battement de coeur suivant celui dont on peut douter au possible et tout attendre de son anxieux « rien ne va plus ».
Je lance au possible ce défi : Que je sois la balle au bond d’un instant de liberté.
Je lance ce cri – que je sois la balle de son silence.
Mon départ s’appelle toujours, tous les jours et tous les instants du grand jour. Mon retour à jamais, éternelle verticale nocturne, point mort, égal à lui-même, que l’autre franchit – toujours.
Qui suis-je?
Toujours le même revenant, ce qui revient à dire encore un autre.

(Stanislas Rodanski)

La notte

Intimità a cui mi affido

Culla dei pensieri e dei fastidi

Ti sarò Riconoscente

Dalla genesi alla tomba

Tu che hai domato le mie precipitazioni

Che mi hai prestato stima e attenzione

Che hai saputo ascoltarmi e custodire i miei segreti

Che sei stata complice del sogno divenuto concreto

Nella tua calma trovo rifugio

Nelle tenebre sono confusa

E nel tuo regno sei la mia musa.

(Rhita Benjelloun)

La nuit

L’intime à qui je me confie
Le berceau de mes pensées et de mes ennuies
Je te serai Reconnaissante
De la genèse jusqu’à la tombe
Toi qui as dompté mes précipitations
Qui m’a prêté tant d’estime et d’attention
Qui a su m’écouter et préserver mes secrets
Qui était complice du rêve qui est devenu concret
Dans ton calme je trouve refuge
Dans tes ténèbres je suis confuse
Et dans ton règne tu es ma muse.

(Rhita Benjelloun)

 

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