“Tutti vogliono una casa.”
La poeta e traduttrice Gloria Sinatra ci offre un’anteprima straordinaria di un giovanissimo talento poetico che sta emergendo a livello internazionale, la poeta sudanese-americana Safia Elhillo
Ritorno alla realtà
Succede spesso a chi legge, scrive o semplicemente ama la poesia di doversi battere contro lo stereotipo dell’inafferrabilità poetica. Molti sono fermamente convinti che parlare di poeti e poesia significhi scollegarsi dal quotidiano, attraversare un varco spazio-temporale e addentrarsi in una selva di profili evanescenti, soggettivi e fugaci. Una simile visione semplicistica, e senza dubbio anacronistica, si scontra con la presenza sempre più rumorosa di un fertile humus, da cui nasce e fiorisce una parte della recente produzione poetica. Si tratta dell’arte di diversi giovanissimi poeti, spesso e volentieri donne, promotori di una visione del mezzo poetico quale strumento di confronto, denuncia e riconoscimento del sé all’interno della comunità umana. È evidente come autori e lavori di questo genere siano tutt’altro che decentrati rispetto al tema del rapporto poeta-realtà. Al contrario, i giovani poeti sembrano relazionarsi con il linguaggio poetico come fosse un passe-partout per il mondo, un’arma non-offensiva né difensiva, ma piuttosto partecipativa. In questo contesto fervido e luminoso si può di buon grado collocare l’opera fresca ma caustica di Safia Elhillo.
Una nuova poesia
Molto attiva nel panorama della poesia africana internazionale, ha vinto nel 2015 il Brunel International African Poetry Prize e l’anno dopo il Sillerman First Book Prize for African Poets, oltre a prestigiose borse di studio come l’attuale Wallace Stegner Fellow all’università di Stanford. Nel 2018 è stata inserita nella lista di Forbes “30 Under 30” nella categoria “Creatives”.
Curriculum a parte, il suo linguaggio dialoga in modo polivalente ed inclusivo con il lettore. La sensibilità poetica dimostrata da Elhillo nella sua silloge The January Children riesce a coinvolgere e incuriosire il suo pubblico senza risultare autoreferenziale e settoriale, a dispetto della dedica ai “January Children” ovvero la generazione nata in Sudan durante la colonizzazione britannica a cui veniva assegnato il primo dell’anno come data di nascita. Gli intrecci linguistici, lo sguardo personale, i riferimenti artistici e culturali, il percorso migratorio complesso e sofferto, il focus su femminilità e aspetto fisico e l’attitudine ironica ma inquisitiva sono marchi di fabbrica della poetessa sudanese.
The January Children
Argomenti e approcci, questi, piuttosto vicini a una fascia di lettori italiani in costante aumento. Si tratta non soltanto di chi esperisce in prima persona il vissuto migratorio e una condizione identitaria controversa. Ma anche di chi si accosta a questa vasta ma spesso invisibile parte di umanità per ridiscutere i propri conflitti interiori alla luce di un sano confronto con l’altro. The January Children è una raccolta di testi profondamente intimi che ritraggono tuttavia una condizione ormai largamente condivisa: l’esperienza del mondo postcoloniale vissuta nel dissidio di sentirsi stranieri nella propria stessa patria. Americana di origine sudanese, dopo varie peregrinazioni tra Egitto, Europa e USA, Safia Elhillo si interroga sul significato di concetti quali “casa”, “identità”, “appartenenza”, “provenienza” e lo fa con una modalità senza dubbio peculiare e con un tono tragicomico inaspettato ed efficace, sottolineando in controtendenza la difficoltà di essere considerata “non abbastanza sudanese” per via dei suoi tratti poco marcati e del colore più chiaro della sua pelle. La giovane poetessa soppesa e ridefinisce dentro di sé i vari aspetti storici, artistici, geopolitici e linguistici delle culture in cui si trova immersa. L’estetica della raccolta è intrisa di dialoghi interlinguistici e interculturali tra mondo arabo e anglofono.
Identità
Fondamentale è la figura del famoso cantante egiziano Abdelhalim Hafez, ponte immaginario ma imprescindibile tra Elhillo e la sua identità da ricostruire. Tale ricostruzione avviene senz’altro dialogando e scontrandosi con il mito dell’artista amato e con il passato familiare, in cerca della consapevolezza delle proprie radici, lingua, aspetto fisico, femminilità e impegno politico. Le poesie di Safia Elhillo sono racconti per fotogrammi che riscrivono il significato di migrazione, identità e appartenenza con l’ausilio dell’immaginazione, della memoria e della lingua. Gli spazi bianchi ospitano un dubbio sospeso, danno peso al silenzio. Il corsivo è una richiesta di aiuto, di un’epifania.
Verbi e nomi
Verbi e nomi chiedono di essere tradotti in una lingua che non può essere attuata, di ricevere un senso universale che non esiste fuori dall’anima, l’unica a poter tradurre i versi di Safia come lei vorrebbe. La poesia è allora l’oro liquido tra i frammenti del vaso kintsugi, la chiave tremenda e luminosa della riconciliazione tra il dentro e il fuori, uno specchio che riflette finalmente qualcosa di intero.
asmarani makes prayer
verily everything that is lost will be
given a name & will not come back
but will live forever
& verily a border-shaped wound will
be licked clean by songs naming
the browngirl in particular verily she
will not heal but verily the ghosts will
not leave her alone verily when asked how
she got her name if telling the truth she
will say [a woman died & everything
wants a home]
asmarani fa una preghiera
in verità sarà dato nome a tutto ciò
che è perso e non tornerà
ma vivrà in eterno
e in verità una ferita a forma di confine
sarà leccata e ripulita da canzoni che parlano
soprattutto della ragazza scura in verità lei
non guarirà ma in verità i fantasmi non la
lasceranno sola in verità quando le chiederanno come
ha avuto il suo nome se sta dicendo la verità lei
risponderà [una donna è morta e tutti
vogliono una casa]