“Eros ha squassato il mio cuore.”
Il desiderio di Saffo
Si potrebbe per un attimo dimenticare l’aggettivo ‘saffico’ utilizzato nel linguaggio comune per definire l’amore tra due donne. Bisogna fare un salto che ci conduca dall’altra parte delle nostre convinzioni per ridare profondità al canto sull’amore ricamato dalla poetessa greca e per riuscire a dare il giusto invito alla sua poesia: i ritrovamenti papiracei di Saffo sono qualcos’altro che semplici testimonianze di un’esperienza: sono l’osservazione attenta e profonda di sentimenti condivisi, l’imperscrutabile turbamento dell’essere.
La poetessa si muove (notoriamente) in una dimensione omoerotica in cui il desiderio è elemento preponderante ma non si è certi dell’effettiva portata delle esperienze carnali. Ci sono indizi e testimonianze che raccontano di “amicizia turpe” che ne evidenzia, tuttavia, il coinvolgimento.
. . . sinceramente vorrei essere morta. Lei mi lasciava piangendo
a lungo, e così mi disse: «Ah! Che pene spaventose soffriamo, o Saffo. Davvero contro il mio volere ti lascio».
Ed io così le rispondevo: «Va’ e sii felice e di me serba memoria: tu sai quanto ti volevamo bene;
ma se non ricordi, allora io voglio farti ricordare. . .tutti i momenti . . . belli che abbiamo vissuto insieme. […]
Senza veli
Sull’amore e il desiderio di Saffo va tolto ogni velo, il sentimento va ripulito dalle nostre accezioni comuni, dalle incrostazioni del nostro tempo. Non dobbiamo necessariamente trovare aderenza con le nostre considerazioni sull’amore e sullo scompiglio che esso provoca. C’è bisogno di addentrarsi nel contesto della cultura greca antica dove erano usuali i sentimenti schiettamente omoerotici nei confronti della “maestra” dei cori e dei canti di comunità da parte delle allieve.
Di nuovo mi assilla Eros che scioglie le membra, dolceamara invincibile creatura; ma tu, o Atthis, ti sei stancata di pensare a me e voli verso Andromeda . . .
Una “Dolceamara invincibile creatura” che lega con una corda astratta il dolce amaro di Petrarca: «a pena vorrei cangiar questo mio viver dolce amaro» quando nel suo pensiero aleggiava la sua Laura e del «tormento ch’io porto per lei» in un vortice mutevole, in un’amarezza che si tramutava in gioia e piacere.
Dunque quanto dolore, quanta sofferenza provoca una “dolceamara invincibile creatura”? Il dissidio interiore è il vero motore dell’arte poetica:
. . . Eros ha squassato il mio cuore, come raffica che irrompe sulle querce montane . . .
Giungesti, e hai fatto bene – io ti desideravo – e hai refrigerato il mio cuore che ardeva di passione
Saffo arriva a toccare punte alte di emotività. Trasmette la sofferenza, lo stato di agitazione e d’inquietudine: a tratti il divino Eros appare un’ossessione che nell’accezione medica del periodo trovava riscontro nel breve e intenso trattato sulla “Malattia Sacra” attribuito a Ippocrate.
Appena ti guardo un breve istante, nulla mi è più possibile dire,
ma la lingua mi si spezza e subito un fuoco sottile mi corre sotto la pelle e con gli occhi nulla vedo e rombano le orecchie
e su me sudore si spande e un tremito mi afferra tutta e sono più verde dell’erba e poco lontana da morte sembro a me stessa.
Un senso di soffocamento, una lacerante esperienza, l’Eros che versa nell’animo uno spietato piacere: tutto ciò diventa il punto cardine della poetica di Saffo e, nella sua inconsapevolezza, anche per i poeti a lei postumi che nella sua eco hanno tradotto questa lirica amorosa.
La bellezza e il tempo
La bellezza di questa poesia sta nell’illimitatezza del tempo. Essa regge il patrimonio dei secoli e sa difendersi dall’erosione dei sentimenti: siamo di fronte ad un seme piantato per restare una secolare dichiarazione di amore disarmante. Tutto ciò che non possiamo fare è trovare un freno alle nostre palpitazioni e oggi, così come nel VI secolo a.C., l’io di Saffo rivive nel suo polo di sofferenza, nella sua esasperante discesa verso l’irraggiungibile ragione del cuore: «Alcuni dicono che sulla terra nera la cosa più bella sia un esercito di cavalieri, altri di fanti, altri di navi, io invece ciò di cui uno è innamorato […]».
Comment (1)
Monia Moroni
Grazie Serena. Molto bella l'associazione col Petrarca. Per quanto mi riguarda... sento, solo ad oggi, una grande vicinanaza al pensiero di questa eterna poetessa, la sua irrequietudine e adorazione dell'amore sino agli spasmi della passione. Ogni maestro ha bisogno che il suo allievo maturi per capirlo veramente.