Femminismo, dialogo e poesia: un ponte tra le parole e i mondi
Parlare oggi di femminismo è come muoversi su un filo teso tra il bisogno di giustizia e il rischio del fraintendimento. Da un lato c’è l’urgenza, indiscutibile, di mettere a nudo le dinamiche di potere che ancora attraversano le relazioni di genere; dall’altro, si affaccia sempre più spesso una domanda: il dibattito attuale, così acceso e spesso polarizzato, aiuta davvero a costruire un dialogo tra uomini e donne? O rischia di trasformarsi in una nuova forma di guerra fredda?
È una domanda scomoda, ma necessaria. Perché se è vero che il femminicidio, nella sua crudezza, è l’espressione estrema di un sistema malato, è anche vero che i dati vanno interpretati con attenzione. In Italia, ad esempio, i casi di femminicidio rappresentano lo 0,000375% in rapporto alla popolazione femminile. Un numero statisticamente piccolo, ma posto come simbolicamente enorme. Perché ogni donna uccisa in quanto donna (?) viene rappresentata come il sintomo di una mentalità che, anche se in forma più sottile, continua a permeare la nostra cultura: il controllo, il possesso, la paura dell’autonomia femminile.
Il femminismo dovrebbe servire a interrogare questa cultura, non a creare una narrazione in merito per servirsi in pasto nuovi nemici. E invece talvolta accade il contrario. Alcune voci radicali, specie nei social, trasformano la lotta in accusa generalizzata. Il rischio? Che ogni uomo venga percepito come parte del problema a prescindere dalle sue azioni o dal suo pensiero. In questo contesto, espressioni come mansplaining vengono usate non tanto per indicare reali dinamiche di superiorità comunicativa, quanto per zittire qualsiasi tentativo maschile di partecipare al discorso. Il confronto si spegne, il risentimento cresce.
RABBIA: NECESSARIA? INEVITABILE?
Eppure non tutto è perduto. Esiste ancora, forse più che mai, uno spazio in cui le parole possono unirci invece che dividerci. Ed è quello della poesia. In un tempo in cui tutti parlano e pochi ascoltano, la poesia costringe al silenzio interiore, alla sospensione del giudizio, al contatto profondo con ciò che si è — e con ciò che si teme.
Proprio per questo, la nostra casa editrice ha scelto di lanciare un concorso poetico dedicato al tema del femminismo. Ma non un femminismo come parola d’ordine ideologica, bensì come luogo di incontro tra sensibilità, storie, contraddizioni. Un femminismo capace di ospitare anche la voce maschile, quando sincera, quando fragile, quando rispettosa. Perché non serve alimentare la misandria per rivelare l’ingiustizia del patriarcato, ammesso che questo esista ancora in forme sistemiche. Serve piuttosto un’educazione alle relazioni, alla parola, alla responsabilità reciproca.
Il vero femminismo, se vuole cambiare il mondo, non può escludere nessuno dal tavolo del dialogo. E la poesia, con la sua capacità di andare oltre le categorie, oltre le accuse e i numeri, può diventare il linguaggio di questo incontro. Perché è nelle crepe, non nelle certezze, che si costruiscono le rivoluzioni più durature.
Invitiamo quindi tutti — donne, uomini, chiunque senta di avere qualcosa da dire — a partecipare con sincerità e coraggio. Perché solo una parola che nasce dal rispetto e dall’ascolto può davvero sfidare l’ingiustizia. E perché non c’è battaglia più grande della comprensione reciproca.
Se volete partecipare al CONCORSO POETICA (QUI IL LINK) e pubblicare con SP un bel libro, per favore, tenete a mente quanto scritto sopra. Grazie. E buona poesia a tutti.